Cucina e modi di dire

Troppo poco è lo spazio disponibile per questa nota e se provassi a spiegare le numerose e sottili differenze tra zuppa e minestra, non mi basterebbe, annoierei il lettore e comunque non arriverei alla fine. Quindi ci rinuncio? Non proprio, mi limito a scrivere che per me la differenza sta principalmente nel pane: nelle zuppe c’è, nelle minestre no. Il dizionario fa derivare il verbo inzuppare proprio da zuppa, cioè immergere pane, biscotti, dolci, ecc. in un liquido fino a renderli zuppi, imbevuti, gocciolanti. Anche noi possiamo rimanere inzuppati sotto un acquazzone estivo, probabilmente è capitato a tutti. La colazione, specie dei bambini, era un tempo costituita da pane e latte (ne so qualcosa!), ovvero pane inzuppato nel latte o caffelatte e, specie nel Meridione era chiamata zuppa di latte. E benvenute siano le milleuna precisazioni di chi sa di più. Ma come per molti altri ambiti, il tempo elabora parole e significati che vengono così accolti nella nostra quotidianità ed ecco che queste due pietanze sono uscite dalle cucine per assumere ampio uso e significato lontanissimi dalla loro origine. Sono divenute dei modi di dire. “O mangi stà minestra o salti stà finestra” e dunque accontentati di questa situazione, di ciò che hai. “Se non è zuppa è pan bagnato” cioè la stessa cosa presentata in modo diverso. Quante volte alla fine di un’espressione (o un’equazione) il commento dell’insegnante era “ma qui hai fatto un minestro ne!” ed il significato è chiarissimo. C’è poi la “minestra riscaldata” cioè un qualcosa che ha perduto il sapore originario, espressione riferita anche ad un rapporto di coppia, interrotto e poi ripreso con presumibile minore entusiasmo. “E’ sempre la solita zuppa” ovvero qualcosa di stravisto o strasentito, ad esempio i programmi elettorali, venuti ormai a noia. Spaziando un poco nella grande famiglia delle zuppe e minestre notiamo che la parentela è numerosissima, con interessanti e spesso appetitose varianti e derivazioni, a volte solo denominazioni. Ecco dunque la passata (o passato?) di tutte le verdure possibili ed immaginabili, la vellutata, la crema e l’arcinota pappa col pomodoro, tipicità toscana. La trevigiana “sopa coàda” invece, nonostante il nome forse non è proprio una zuppa, bensì un ottimo pasticcio di carne delicatissima, quella di piccione. E storia a sé la fa naturalmente la zuppa di pesce, dove il pane non c’è proprio però alla fine, nel sughetto rimasto in fondo al piatto si può benissimo tuffarvene quanto se ne vuole.