Le noci tra storia, leggende e antiche tradizioni

scrigno-gusto-salute1I semi commestibili contenuti nei frutti legnosi dell’albero del noce da sempre rappresentano per l’uomo una preziosa risorsa alimentare, altamente nutritiva, semplice da raccogliere, da coltivare e facile da conservare. Il progenitore dell’attuale noce bianco (Juglans regia) cresceva spontaneo 40 milioni di anni fa in Asia centrale tra l’Himalaya e il Mar Caspio. I paleobotanici ritengono che gli antenati del noce bianco producessero drupe (frutti) molto piccole e dal guscio estremamente tenace. Homo erectus favorì solo gli esemplari in grado di produrre i frutti più grossi e dal guscio più sottile, destinando gli alberi meno vantaggiosi dal punto di vista alimentare a scopi costruttivi o combustibili. Secondo Plini il Vecchio (I sec. a.C.) il noce subì una vera e propria domesticazione ad opera dei greci che prima lo ricevettero in dono dal re di Persia e poi ne diffusero la coltivazione – soprattutto come materiale da costruzione per le loro navi – nel meridione d’Italia e in Sicilia tra l’VIII e il VII sec. a.C.. Ad Atene l’ulivo, sacro ad Artemide, dea della caccia e della fertilità, era chiamato karya e le statue femminili in legno di noce che sostenevano il tetto del tempio di Artemide furono dette appunto “cariatidi”. Non insensibili all’alta qualità del legno di noce ma più attratti dagli aspetti alimentari dei suoi frutti, i romani tra il V e il IV sec. a.C. ne promossero la coltivazione a cominciare dall’Etruria e dalla Campania. Nei secoli successivi la pianta che i latini chiamavano nux regia o nux persica seguì le legioni romane in Penisola Iberica, in Gallia e oltre La Manica, dove, ancora nell’alto medioevo, scrigno-gusto-salute2veniva chiamata wealhhnutu ovvero “noce straniera” da cui l’inglese walnut, il tedesco wallnuss e l’olandese walnoot. Il nome botanico latino Juglans, deriva dalla contrazione di Jupiter glans ovvero “ghianda di giove”, mentre l’epiteto regia ricorda l’antico dono fatto ai greci dal re persiano. Ad un nome così altisonante per i romani, corrispondeva un’altissima reputazione, dovuta anche agli aspetti simbologici del frutto del noce: ancora acerbo e racchiuso nel mallo verde ricorda la forma dei testicoli umani (forza, fertilità); il suo essere contenuto in un guscio lo fa apparire come un ventre gravido (fecondità); la forma del gheriglio ricorda il cervello umano (astuzia, intelligenza). Quest’ultimo aspetto fu sviluppato poi nel Medioevo dai sostenitori della “Dottrina delle Signature” che ascriveva alle piante proprietà terapeutiche basate sulla loro somiglianza con specifiche parti del corpo umano, così, fino a tutto il ‘700 la noce fu usata come rimedio elettivo per le ferite alla testa, le emicranie, la pazzia e gli attacchi epilettici. Nell’Antica Roma sotto a un noce sacro danzavano fino allo sfinimento le Menadi, sacerdotesse di Bacco o Baccanti. Questi rituali pagani continuarono
anche dopo l’avvento del Cristianesimo e fecero nascere nel Medioevo alcune leggende come quella che voleva che sotto al celebre “Noce di Benevento” si riunissero a ballare le streghe durante i sabbah infernali. Per i romani le noci erano comunque una presenza costante sulle tavole, in cucina e perfino nei templi; non è un caso che un piatto di noci fu lasciato su una tavola nel Tempio di Iside a Pompei al momento della catastrofica eruzione che cancellò la città il 24 agosto del 79 d.C.. Nel ricettario attribuito ad Apicio le noci compaiono con frequenza e scrigno-gusto-salute4largo era anche il loro consumo a scopo medicinale e come colorante per la lana e per i capelli. Noci venivano gettate sugli sposi per sollecitare la protezione di Giove e auspicare fecondità alla sposa e per le strade dell’Urbe era comune vedere bambini giocare con le noci usate come biglie; era nota anche l’espressione “reliquere ad nuces” (allontanarsi dalle noci) per significare l’abbandono dei giochi e l’ingresso nell’età adulta. L’olio ottenuto dalla spremitura delle noci ebbe per secoli un ruolo importante sia come alimento/condimento, sia come combustibile per lumi e lanterne. La sua capacità idratante, antisettica e tonificante lo faceva preferire a quello d’oliva per l’unzione del corpo praticata dagli atleti e dalle matrone romane. Quest’olio – che costituisce circa il 25% del peso del gheriglio – è ricco di Omega-3, privo di colesterolo, ha un gusto delicato e gradevolmente tostato e si sposa ad insalate, formaggi freschi, verdure bollite o grigliate, zuppe calde e carni crude. Per quanto se ne faccia sempre un uso a crudo (alle alte temperature tende a degradare) può essere usato anche negli impasti di pani e biscotti con ottimi e originali risultati. L’antichissima tradizione della spremitura delle noci per farne olio viene ancora praticata in Moldavia, in Francia, in Svizzera ma anche in Piemonte e in Valle d’Aosta. Anche la farina di noci è un ingrediente molto usato nella preparazione di pani, biscotti, dolci, cioccolatini e perfino gelati. I gherigli ridotti in pezzi grossolani aggiungono una nota caratteristica a molte insalate (su tutte la celebre Waldorf salad), valorizzano preparazioni di carne, pollame, pesce, entrano nei ripieni, nei sughi e nei pâtés. In Italia è giustamente celebre la gustosa “Salsa di noci” della cucina ligure ma sono degne di nota due specialità della cucina georgiana, la baya (versatile condimento a base di noci tritate, aceto rosso e succo di melograno) e il satsivi (salsa composta da noci pestate, aglio, peperoncino, aceto e coriandolo secco) che si accompagna in inverno alla cacciagione e al pesce fritto. Un doveroso cenno va fatto in conclusione alle bevande ricavate dalle noci. In Italia è conosciuto e apprezzato il “nocino”, un ratafià ottenuto dalla macerazione in vino rosso dei malli di noce che la tradizione vorrebbe raccolti con speciali rituali solo la notte del 25 giugno (oggi festa di San Giovanni ma anticamente data legata ai sabbah e ai baccanali). La ricetta giunse in Italia, nel modenese, alla fine del XV secolo dalla Francia dove il liquore era conosciuto come brou de noix. Elisir simili s’incontrano anche nel mondo celtico, in Inghilterra, in Ungheria, in Moldavia, in Romania e in Russia.