L’autunno è, tradizionalmente, la stagione dei funghi e sarà festa. Avremo già avuto, durante le vacanze di agosto, i monti percorsi da cercatori accaniti (non sempre “acculturati” quanto si dovrebbe per rispettare l’habitat) ma anche da noi “cittadini”, con sempre più facilità, di trovare funghi ovunque. Fruttivendoli, supermarket, bancarelle (famose e stupende per eccellenza di prodotto e di qualità ve ne sono in tutte le città) ci permetteranno di comprare sia quelli che sono considerati funghi di serie A (porcini ed ovoli), sia gli altri che, in realtà costituiscono un cocktail, il “misto”, che meravigliosamente è equilibrio di profumi e sapori. Così, questo squisito complemento a menu importanti, pregiato piatto di mezzo, ricercato contorno si presenta in tavola proprio quando l’autunno mostra i suoi colori, fra il giallo ed il rosso delle vigne e dei boschi.
Ed ecco, fra i tanti miracoli della natura, proprio quando ci si sta preparando all’inverno, l’abbondanza dei funghi, questa “carne del bosco”, ricchissima di proteine, dieteticamente eccezionale per le pochissime calorie, che ignora completamente i grassi. Funghi preziosi ed umili, che tendono ad occultarsi, a vivere nel silenzio magico del bosco, che quasi impaurisce con le sue ombre ed i suoi fruscii, o sui prati al confine del verde, a mostrarsi solo all’ultimo istante, a dare il senso di una conquista che è insostituibile.
Prezioso ed umile, dicevamo: si presta ad una gamma sconfinata di usi e consumi. Profuma le salse ed i condimenti, gli intingoli di tutte le preparazioni, si unisce ai piatti di alta aristocrazia o a quelli popolari come zuppe e minestre, frittate o arrosti. Ma c’è di più: lo secchi, lo riduci in polvere che potrai usare in un mare di piatti, lo metti sott’olio, lo sposi con aglio e prezzemolo senza danneggiarlo. A volte non devi neppure cuocerlo, basta affettarlo e unirlo a scaglie sottili di grana padano, adagiarlo lieve su un carpaccio di carne. L’importante è che vi sia un filino d’olio, un pizzico di sale ed un’avarissima presa di pepe bianco appena macinato.

Null’altro…

I funghi riempiono, ogni anno, scaffali di librerie perché, nonostante vi sia già una sterminata moltitudine di libri sull’argomento, non si è mai giunti al fine. Così dalle riviste di settore, di gastronomia, ai testi di cuochi importanti, da “luminari” della micologia a dilettanti, gli scaffali delle librerie sono piene di testi che forniscono le più diverse informazioni. Ed una ragione più che valida esiste: non c’è altro modo di stare sicuri circa la velenosità dei funghi che conoscerli. Non c’è cucchiaio d’argento che annerisca, o d’oro, non serve a nulla mettere un oggetto di ferro durante la cottura, non serve mettere un pezzo di pane o aglio (secondo le usanze francesi) durante la cottura, per determinarne la velenosità. Bisogna conoscere, fra le tremila specie presenti in Europa, quella sessantina che dona solo piacere e non mal di pancia, o peggio. Così quelli che sono considerati i testi “sacri”, quelli di Fernando Raris, del Cetto, della stupenda associazione del Bresadola, assurgono a veri “vangeli” di sicurezza. Ed in autunno i funghi diventano gli interpreti anche di manifestazioni gastronomiche importanti: il trevigiano Cocofungo è fra le più note. Ma ve ne sono anche altre, in primavera, con pari fascino condotte da diversi “micogastronomi”, meta obbligata per chi vuole godere di piatti di elevata concezione e di squisita fattura. Sembra strano ma dal Rinascimento all’Unità d’Italia a farla da padroni sulle mense regali e pontificie furono i funghi di primavera, più che gli autunnali: spugnole, prugnoli, marzuoli erano i grandi funghi da cucina. E c’è, in questa stagione, la poesia della ricerca sui dolci declivi coperti di fiori, fra prati e boschi ricchi di colori, che accresce il senso della conquista. Poi la cucina reclama il tocco giusto, la eleganza della semplicità delle tagliatelle con le spugnole o di una frittata. E questo nostro paese, benedetto per la presenza di tanta biodiversità, ha diversi luoghi ove si “reclama” il meglio della produzione fungina: chi trova migliori sopra ogni altro i funghi della Sila, chi del toscano Pratomagno, chi afferma che i porcini di Borgotaro, nel parmense, sono imbattibili e chi, dall’altra parte del monte, a Pontremoli, sta combattendo una profumatissima guerra per fare una secessione e liberarsi da una sgradita compagnia che sembra opprimente e reclamare la palma del migliore ai propri porcini.

Questo perché dal 1993 è stato insignito del marchio IGP il “fungo porcino di Albareto, Borgo Val di Taro e Pontremoli”! E quelli delle Dolomiti o dell’Altopiano di Asiago? Niente da invidiare a nessuno: polenta e funghi sono un mangiare da re che rimanda alla bontà delle cose semplici, conosciute, ritrovate secondo quell’indicatore eccezionale che è “l’orologio biologico” che è in ciascuno di noi. L’antica saggezza contadina dava tanto valore ai funghi da far pensare all’intelligenza di uno scritto, trovato ai primi dell’Ottocento, in un ricettario regalato ad un convento di Schio, che recita: “ Coi fonghi mori (porcini) anche i poareti gà magnar da siori”. Quanto è vero….

Alfredo Pelle