Una delle specialità gastronomiche italiane, con documentate origini antichissime ma di sicura diffusione fin dal primo Medioevo, è quella delle paste ripiene. Ne vantano comunque la primigenia Genova (nel ‘200) e Bologna sempre in quei tempi lontani, diventata poi quest’ultima regina della pasta ripiena con i suoi mille nomi dati ai famosi tortellini. Molte sono le anticipazioni storiche (oltre a quelle dei soliti romani come descrive sapientemente Sergio Grasso, che queste cose le sa e le insegna): Giovanni Boccaccio nel suo Decamerone (1350?) scrive “…niuna altra cosa facevano che far maccheroni e raviuoli e cuocerli”. Comunque, dal nome originale di raviolo, o tortellino, o agnolotto, o panzerotto, o cappellaccio, o anolino… la pasta ripiena è prezioso retaggio della cucina italiana già vantato dagli stessi cuochi-scrittori come Mastro Bernardino e Bartolomeo Scappi, che a metà del XV secolo operavano nelle cucine dei potenti. Grazie a una sempre più accessibile letteratura gastronomica che non li ha certamente dimenticati anzi molti sono stati riscoperti e la stessa attenzione dei cuochi alla nostra cucina tradizionale, i ravioli e i loro cugini hanno conservato l’antico fascino storico-gastronomico. Malgrado le molte incertezze e le tante vantate paternità qualche volta soltanto di ispirazione campanilistica, la pasta ripiena si diffuse dalla cucina dei ricchi, grazie ai grandi cuochi del tempo, a quelle popolari in tutte le regioni italiane soprattutto centro settentrionali diventando patrimonio della buona cucina italiana, grazie alle mille denominazioni locali, anche dialettali, dovute alle obbligate ricercate interpretazione alimentari dei prodotti agricoli. Gli stessi ripieni (carne, pesce, verdure, formaggi, ricotta e perfino marmellata e miele…) riflettono le disponibilità agro-pastorale regionali o addirittura locali, con nomi diversi, come ravioli in Piemonte, i cansonsei in Lombardia, i tortelli o ravioli in Emilia-Romagna, i culurgiones sardi, i panzerotti del Veneto Adriatico, i casoncelli trentini, i cjarsons friulani. Questi ultimi, poi, sono una vera miniera di gusti a seconda dei contenuti, tanto che vengono proposti e serviti come antipasti, primi, secondi e perfino dolci. Infine, non bisogna sottovalutare la sempre più accessibile e apprezzata letteratura gastronomica contemporanea, che non ha certamente dimenticato i ravioli e i loro cugini e la stessa attenzione dei cuochi che si rifanno, almeno nelle intenzioni, alla nostra cucina tradizionale. In fondo, i ravioli, o tortellini o agnolotti… sono una delle poche specialità della cucina nazionale sopravvissuta ai secoli senza sostanziali modificazioni.