Claudio, Traiano, Apollodoro e il porto di Ostia

L’approvvigionamento di grano e cereali a Roma è stato fonte di accesi dibattiti sociali fin dai tempi della Repubblica. Tema centrale è sicuramente la distribuzione al popolo, in forma gratuita o a prezzo ridotto, ma non solo. Una volta immagazzinato il materiale, in appositi edifici detti horrea, è necessario inviarlo e venderlo sia nelle province sia ai soldati accampati in luoghi di battaglia remoti. Si stima che all’epoca di Augusto, quindi grosso modo a cavallo dell’anno 0, l’urbe sia abitata da poco meno di un milione di persone con un fabbisogno di 250.000 tonnellate di cereali annue. I rifornimenti, derivati da imposte e decime arrivano principalmente da Campania, Sicilia ed Africa del Nord. Proprio in questo periodo si apre anche il mercato egiziano. Nasce l’esigenza di sopperire alla disastrosa rete di trasporti, per mare, per fiume e via terra. Il trasporto marittimo è vittima delle condizioni metereologiche e stagionali, quello fluviale dei limiti dati dalle grandi dimensioni delle imbarcazioni utilizzate e quello via terra da furti e dello scarso sistema di conservazione. Il porto con un grado di efficienza tale da poter ospitare le navi onerarie, di grossa taglia e pescaggio è a Pozzuoli, a 235 km di distanza da Roma. Da qui le merci vengono posizionate su navi più leggere e proseguono verso Ostia che però risente di requisiti sfavorevoli come la scarsa comodità e la mancanza di un porto commerciale efficiente. Ci prova l’imperatore Claudio con lavori in grande stile che comprendono nuove banchine e, sembra anche la costruzione di un faro ad imitazione di quello di Alessandria. Purtroppo ad ogni alluvione il bacino di attracco delle navi, troppo vicino alla foce del Tevere, si interra e l’operazione di dragaggio sistematico rende il porto dispersivo, economicamente inutile e infine viene abbandonato. Nel 110 d.C. circa, cinquant’anni dopo l’intervento di Claudio, Traiano mette all’opera il fidato architetto Apollodoro di Damasco, l’archistar imperiale, autore tra l’altro della colonna coclide, dei mercati traianei e della basilica Ulpia visibili tuttora a Roma. Il progettista, avvezzo ad inventare macchinari da guerra si muove con estrema destrezza e fa costruire un bacino di grandissime dimensioni a forma esagonale, in maniera da annullare la violenza dei flutti in entrata ed aumentare lo spazio di attracco delle navi. Aumenta, grazie alla presenza di più lati, la presenza di più navi. Mantiene la darsena del vecchio porto a protezione di quello nuovo e si dedica alla costruzione di un canale fluviale costeggiato anch’esso da magazzini come il bacino principale. Una volta scaricate, le merci erano pronte per essere portate a Roma, risalendo il Tevere tramite una fossa debitamente realizzata, o via terra. Viene dato un nuovo nome alla località, Portus, e vengono eretti un tempio e un sontuoso palazzo imperiale, tema di scavi archeologici recentissimi che si stagliava come imponente ingresso al complesso portuale. Il porto dopo qualche secolo cade in disuso, il bacino progressivamente si interra. Segue infatti la vicenda della diminuzione e della morte dell’approvvigionamento di cereali, del depauperamento della forza dell’impero fino alla sua caduta.