È soltanto di un paio di mesi fa l’uscita dell’edizione 2018 della Michelin, la guida alla ristorazione di origine Oltralpe e ben diffusa, dal 1956, anche nel nostro Paese dove conta su una eccessiva credibilità. Ma questa volta, forse per risvegliare interessi che qualche volta si assopiscono, la “rossa” ha suscitato un’eco mediatica eccezionale. È bastato ridurre a una sola “stella” la celebrità di due noti ristoranti milanesi perché sembrasse crollare il mondo. Qualcuno comunque è subentrato e i conti tornano: 41 ristoranti con due “stelle” (come la precedente edizione), uno in più (tre “stelle”) nell’Olimpo, qualcuno in più (306 da 294) con una sola “stella”. In tutto, premiati (?) 356 ristoranti (dai 343). Questi i numeri in evidenza, ma dietro ci sono altrettante storie di chi crede troppo alla visibilità televisiva soprattutto, chi si sente subito investito dell’obbligo di partecipare a giurie, congressi, tavole rotonde, di chi magari è divo o testimonial sul piccolo schermo (e poi si fa bocciare i piatti di casa…). La realtà è diversa. Lo dissi tanti anni fa a un ristoratore trevigiano entusiasta per aver ottenuto la sospirata “stella”: “Sei tanto contento adesso, quanto sarai deluso quando te la toglieranno perché non ne capirai il motivo”. In questo percorso di illusioni che la stampa lusinga, si perdono forse molti talenti, altri per fortuna ne nascono finora ignorati o insospettabili protagonisti di una cucina che non ha paragoni. Spostando con verificabile quotidiana e non occasionale validità i gusti e le clientele dal Nord al Sud con un risultato, se non altro, di far conoscere meglio cucine diverse e prodotti eccezionali che hanno bisogno di nuovi autori. “I piatti – ha commentato Angela Fenda sul Corriere – devono essere realizzati per chi li mangia e non per i critici, o le guide, o i convegni o le trasmissioni tv”. È questa l’unica incontrastata realtà. Che i cuochi tornino con umiltà ai fornelli, che sono le vere vetrine, riproponendo, modificando, inventando quello che suggeriscono le diverse vocazioni ed esperienze. Il giudizio, con pochi appelli, verrà sempre da chi sta a tavola e sarà soddisfatto, il resto è soltanto effimero. Poi… non dimentichiamo che oltre alla Michelin ci sono anche altre guide blasonate, quella dell’Espresso, l’altra del Touring Club, o del Gambero Rosso, La Guida di Class. Senza dimenticare il contributo alla conoscenza del mondo della ristorazione dato dall’indimenticabile Gino Veronelli. E poi riviste, periodici, rubriche in tutti i media, soprattutto quelli femminili. E ancora cuochi con i genitori cuochi, con sorelle e zie, cuochi comunque. Ecco che una forchetta, un cappello o un altro distintivo se non proprio una “stella” ci sono proprio per tutti, tanto da riempire il cielo della ristorazione italiana.