Non è una consuetudine moderna quella di friggere, anzi potremmo affermare che già in epoca romana, se non prima, la frittura era considerata una cottura adatta a tutti e per tutti. Pensiamo alle “lagane” citate da “Apicio”, sottili sfoglie di pasta fritte, consumate frequentemente nella città pompeiana, prelibatezze tuffate in padelle con grassi a volte non ben definiti e certamente fritte per strada, attirando l’avventore con il loro profumo. Oggi è opportuno ricordare che il fritto è diventato un “must delle cucine territoriali italiane”. Il buon fritto è un nostro patrimonio, infatti un po’ tutti, dal nord al sud, vantano ricette tipiche fritte, che però hanno un identificativo comune, ovvero lo stesso modo di mangiarle: per strada, in velocità, con le mani, indipendentemente se il fritto è dolce o salato. I più colti direbbero “friggere e fritto” sono il patrimonio dello “StreetFood italiano” che è riconoscibile in cento e più proposte. Panzerotti o calzoni, pizze fritte farcite, insomma una sorta di tasca di pasta per pizze, ripiena di diversi ingredienti. Ogni città del sud propone la propria ricetta, rigorosamente fritta, di pezzatura più o meno grande, ma comunque servita dopo la sua immersione in grasso vegetale o in strutto. Ad esempio pollo fritto e patate, che non è un’invenzione delle Americhe, bensì un modo tipico di molte regioni italiane di friggere piccoli pezzi di pollo impanati in miscele di pane differente, poi aromatizzate diversamente, sempre fritte, rondate bene e poi salate all’ultimo. L’oliva all’ascolana, italianissimo prodotto artigianale e industriale, è un nostro alimento proposto ovunque, in molte formule ristorative e in molti paesi del mondo, forse il fritto più mangiato dai giovani nelle paninoteche davanti ad un boccale di birra. Gli Sgaliozze, o Scagnuzz, classici riquadri di polenta gialla del giorno prima, quadrati o losanghe poi fritte in strutto e servite con generosa manciata di pepe: il soffiarci sopra, in questo caso, è d’obbligo perché scottano tantissimo. Zeppole, Pettole, Pittule, o paste cresciute, impasto veloce di acqua, farina e lievito, tutto molto appiccicaticcio, che lavorato insieme ad acciughe o ad alghe o qualsivoglia ingrediente, diventano bocconi cocenti e fumanti, fritti in pochi istanti: un classico fritto all’italiana. Crocchette, panzerotti, croquettes di patate che, in base all’impasto, sono farciti con prosciutto o fiordilatte, perfettamente impanate e poi fritte; il sale cosparso a fine cottura dà un tocco di appetitosità in più. Le mozzarelle in carrozza le troviamo in molte regioni e ciascuna propone la propria tipica ricetta, in tutte l’acciughina non manca mai e la pastella è d’obbligo. Supplì, palle di riso, arancino o arancina, alimenti impanati o pastellati e fritti che variano da regione a regione del sud. Ciascuna si appropria della ricetta unica ed originale, ma solo il ripieno farà la differenza, insieme alla grossezza o al formato del prodotto fritto. Lo scartoccio di pesce, ò cuoppo, scartoso, dove alimenti diversi sono fritti al momento: diverse varietà di piccoli pesci, rane o altro sono racchiusi in coni di carta paglia di fogge e forme diverse. Comunque sia, coni di carta profumatissimi, dove ad ogni boccone il “ciuciarsi i dei è d’obbligo”. Frittelle, fritole, zeppole, focaccine fritte: presentano impasti più o meno simili ovunque, a volte con ripieni naturali, ma dopo averle fritte e ben grondate dall’olio vengono sempre passate nello zucchero e poi mangiate calde. In tutte le fiere paesane l’odore dà il benvenuto. Fritto, friggere, mangiare con le mani, mangiare camminando, leccarsi e/o ciucciarsi le dita, è l’ultima operazione svolta da tutti noi dopo aver mangiato un buon fritto. In ogni caso, mi raccomando che il fritto sia sempre fatto bene, nel rispetto e nella tutela del consumatore.