Il nobile tartufo ci impone una riflessione sulla cultura gastronomica del cibo aromatico e profumato. Spesso abbiamo assistito ad esasperazioni gastronomiche dove in un boccone e nel piatto si trovavano, in contemporanea, eccessi di aromatizzazione che, piuttosto di inebriare il commensale, gli creavano confusioni olfattive, tanto da far perdere di vista l’importanza del “senso olfattivo”. A supporto di quanto affermato, vorrei che riflettessimo sulla ricetta della cucina classica: “Il Tournedos alla Rossini”. In questo piatto, la salsa era “tirata” non per effetto di legami amidacei, ma semplicemente per effetto del calore. Essa veniva aromatizzata dal tartufo solo qualche istante prima di essere servita sul filetto, per cui l’aroma del tartufo inebriava l’insieme del piatto, senza essere invasivo. Per creare il giusto contrasto aromatico, lo chef aggiungeva a fine cottura, una volta che il filetto era adagiato nel piatto, qualche scaglia di tartufo fresco in crudità, amabilmente affettato con l’apposito attrezzo. Solo così le fragranze aromatiche del tartufo erano ben distinte perché il gastronomo di qualità riconosceva le aromatizzazioni del pregiato tubero, percepiva il valore aggiunto di quello sottoposto a calore intenso, tagliato in brunoise, e quello leggermente intiepidito, perché affettato al momento e inserito per ultimo. Questo è il senso del giusto equilibrio tra aroma e profumo nel nobile fungo. Ora, se lo chef di ieri era in grado di capire quali fossero le giuste attenzioni per usare il tartufo, non vedo perché oggi, per essere rinomati a tutti i costi si debba maltrattare il tartufo, a discapito non solo dell’alimento, ma anche del povero avventore e dell’intera sala  da pranzo. Usarlo in modo improprio, esagerato e a volte anche fuori luogo su alimenti che non necessitano di tale aroma, a mio avviso è un atteggiamento che depista l’avventore. Il troppo storpia anche quando il cuoco provetto o improvvisato usa maldestramente i prodotti a base di tartufi lavorati in soluzioni oleose a quant’altro. Allora impariamo a dosare, fare in modo che il polso non corra velocemente versando di tutto e di più, ma che si impari ad usare il nobile cucchiaino. Del resto il tartufo fresco si affetta sottilmente e con parsimonia si distribuisce, non vedo perché dell’altro, sedicente aroma al tartufo, non si debba centellinarlo. Un buon piatto, una buona pietanza, una ricetta presentata al cliente non deve inondare con il suo profumo una sala da pranzo, non può spandersi tra gli avventori delle tavole vicine, il piatto con il suo aroma deve raggiungere il suo commensale, magari facendo venir voglia all’immediato dirimpettaio. Nobile tartufo, insegnaci tu a dosarti.