Questo tema proposto da Zafferano è stato per me un invito a tornare indietro con la memoria, “quando saltavo i fossi in lungo e in largo…”. Erano veramente altri tempi, in quel del Bosco del Vescovo di Campodarsego. All’epoca c’era la guerra e io avevo 12 anni e la fame era tanta. Gli street food esistevano anche allora, sebbene non fossero certamente così raffinati come quelli preparati dai cuochi di oggi, ma la sostanza c’era. Comincio ad elencare alcuni cibi: la frutta secca (mandorle, noci e nocciole), le noci con la polenta e le pere cotte al forno con zucchero in polvere sopra, vendute davanti la chiesa alla domenica. Nelle sagre si gustavano i polipi bolliti e serviti con tanto aglio e prezzemolo, i “carigoi” e i “bovoeti” (lumachine che si trovano in prossimità del mare) con “un’ombreta de vin bianco” (bicchiere di vino bianco). Il giorno della trebbiatura del grano ogni famiglia faceva festa. Allora i più benestanti, tiravano fuori l’”ossocoeo” (ossocollo) dalla cenere dove era rimasto per qualche mese perché diventasse più saporito, l’ossocoeo poi veniva tagliato assieme alla sopressa e al buon salame, il tutto gustato con dell’ottimo vin rosso. Quante “ombrete” tracannavano questi lavoratori!! Le donne invece assaggiavano, poco poco, il vino bianco. Polenta e formaggio non mancavano mai in nessuna casa. Ai poveri che mendicavano in campagna si dava una fetta di polenta con un po’ di formaggio fatto in casa, la famosa “casatea” (casatella). Non posso dimenticare la “renga” (aringa) cotta sulla brace e le “pinse” (pinze) con i fichi, cotte sotto la cenere. Durante le sagre noi ragazzi facevamo veramente festa. C’erano le castagne cotte in padella al momento e i banchi delle paste, dove lo zucchero filato e la “tiramoea” (tiramolla) erano d’obbligo. Quando i nonni mi mandavano dal bottegaio a far la spesa con le uova, allora potevo comperarmi un panino con la mostarda. Intanto nel pagliaio maturavano le nespole che servivano al mattino per far la piccola colazione prima di andare a scuola. Alle Fiere, specialmente in quella plurisecolare di Arsego, sui banchi si trovava ogni ben di Dio e sotto i tendoni poi apparivano le trippe con polenta, polli arrosti, salumi e tanta mortadella. Veniva anche servito un buffet con mille “sponcioneti” (bocconcini) che ti invitavano a spendere i pochi soldi che avevi in tasca. Non dimentico i banchi di angurie che d’estate si vendevano lungo le strade. Il bollito, che era usanza preparare la domenica, permetteva agli anziani, alle ore 10 di mattino, di bere un buon brodo con il Parmigiano grattugiato. Le donne alla stessa ora si facevano un “sbatueto” (sbattutino) con dentro le uova e il Marsala, che non mancava mai in nessuna famiglia. D’inverno durante “il filò” passavano i venditori di fava con un cestino in vimini e un bicchiere di legno. Sulle rive dei fiumi, quando l’acqua era alta, il pranzo a base di pesce era assicurato. Ogni settimana passava il pescivendolo di sardine che poi venivano mangiate fritte con polenta. Questi piatti, sopra descritti, non vogliono essere competitivi; anzi io incoraggio i giovani cuochi a proporre sempre piatti nuovi dando spazio alla loro fantasia e creatività. Coraggio giovani! Il futuro è vostro!

La ricetta flambe’: Sopressa “de casada” con polenta abbrustolita

Ingredienti per 2 persone: 2 oppure 4 fette di sopressa; dei cubetti di lardo; una noce di burro e gocce d’olio; un po’ di porro, alcuni rapanelli piccoli e ben colorati; prezzemolo e cipolla tritati q.b.; mezzo bicchierino di grappa di gran qualità; cuore di sedano bianco e 4 fette di polenta abbrustolita.

Mettere in padella il burro, l’olio, i pezzetti di lardo, le verdure tritate e portatele a cottura; mettete quindi in padella le 4 fette di sopressa e rosolatele; a questo punto infiammate con della buona grappa. Amalgamate bene il tutto e servite su 2 piatti caldi la carne. Guarnite infine i piatti con i rapanelli rossi e il cuore di sedano bianco.

Vini consigliati: Raboso del Veneto – Cabernet di Pramaggiore – Rosso dei Colli Euganei.