– Aglio e cipolla? Ha ordinato la pizza con aglio e cipolla?
– Sì! Cosa c’è di male?
– Ma come si fa a ordinare una pizza così? Non ha pensato che qualcuno deve sopportare il suo alito? Avremo la casa infettata, proprio stasera che deve venire gente a cena! Sento già il fetore. Sono stufa di sopportarlo tuo padre; merita una lezione. Mia nuora si affretta ad aprire la finestra; l’aria fresca entra
nella cucina.
– Stasera lui non dorme in questa casa! – dice rivolta a suo marito e riprende a rimestare nei fornelli. – Tuo padre è un egoista e un cocciuto. Guardo mio figlio, smarrito. Non sa che faccia fare. Il mio
nipotino si mette a frignare: ha preso paura. Mi hanno detto di cenare fuori perché aspettano ospiti importanti.
– Fare presto! – ordina lei dalla sala da pranzo, dove sta trafficando con le posate.
Prendo il cappotto e il berretto.
– Papà, lascia perdere, lo sai che dopo le passa. Ma dove vai? Papà, papà.
Mi ritrovo in strada. Mio figlio mi chiama col citofono, gli lascio detto che non mi aspettino.
E mi metto a camminare per la città, cogliendo qualche filo di aria tiepida che anticipa la primavera. Ho tutta la sera e la notte davanti e non ho nessuna meta. Prendo la strada che costeggia il fiume e mi sorprendo a vedere un cigno che fa lenti giri pigri nell’acqua tranquilla. Risalgo verso il centro, cercando di perdere l’orientamento nella mia vecchia città. Mi fermo all’osteria che frequentavo da giovane: è cambiato tutto ma c’è ancora un vecchio listino appeso al muro: Rosso Antico, duecento lire; Punt e Mes, duecento e cinquanta, Millefiori Cucchi, Cavallino Rosso, prezzo illeggibile. Ci siamo conosciuti qui, noi due; eravamo studenti squattrinati e lei era così bella che me la sposai solo per non perderla mai più. E invece. Mi viene voglia di tornare alla nostra casa. Guardo l’ora: non è tardi; mi faccio aprire dal portinaio: quante volte ci ha fatti rientrare noi sbadati, che discutevamo ferocemente dei massimi sistemi e dimenticavamo la chiave e di fare la spesa.In autobus ripenso alle insistenze di mio figlio e di mia nuora perché andassi ad abitare da loro dopo il funerale. Dopo due mesi ho ceduto per non farli stare in pensiero, dicevano. Gino, il portinaio, si ritira discretamente dalla soglia e mi lascia solo: l’odore di casa mi stordisce leggermente. Passo stanza per stanza, lasciando le luci accese. Tolgo i teli bianchi dai mobili ed accendo la radio: le valvole si scaldano lentamente, sento il sottile ronzio del trasformatore. Piano piano arriva la voce di Sergio Capitta che conduce l’omaggio di Radio Tre a Mariangela Melato; passo in cucina e accendo l’altra radio. Lo stesso succede con quella in camera nostra. Mi dedico ad aprire tutte le imposte: le luci di Treviso mi entrano in casa e vedo la mia città, girando per i balconi, con le finestre aperte. Ritrovo una vecchia bottiglia di cognac e cerco il bicchiere giusto per gustarmelo. Poi mi accorgo della mia vecchia compagna: la stufa nordica. È fedele perché ci mette poco a farmi vedere il fuoco. Chiudo tutto e mi siedo sulla poltrona di fronte alle fiamme. Poi, tiro fuori un vecchio disco; stacco da Mariangela e aziono la levetta del pick up del giradischi: colpo secco sulle casse; la puntina ha toccato suolo e parte il sax sfiatato di Serge Chaloff. La stufa continua a essere fedele.
– Papà, eravamo disperati, ci hai fatto patire tutta la notte. Potevi dirlo che tornavi a casa! Mio figlio è sulla porta; dietro sua moglie a cui la cena deve essere andata benissimo. Li ringrazio e li congedo, rassicurandoli sul mio futuro di vedovo solitario, con un tranquillo:
– Se non era per una pizza all’aglio e cipolla, chissà cosa mi sarei perso.
Flavio Bisson