Paese che vai e pasta ripiena che trovi, o quasi. La Carnia è orgogliosa dei suoi Cjarsons, l’Ampezzo dei suoi Casunziei, l’Emilia-Romagna (ma anche le Marche) dei cappelletti, e così via… con il rischio anche di creare qualche incidente diplomatico tra gastronomi, accademici e buon gustai in generale, se si sbaglia il nome, la forma o la composizione del ripieno. Al buon Giovanni tutto è permesso (forse), tanto che trova poi molti emulatori tra i piccoli produttori, con il rischio di perdere anche il vero senso della tradizione. Il ristoratore può produrre pasta ripiena nella sua cucina? Sarebbe scandaloso se non fosse possibile. L’importante è garantire condizioni adeguate di struttura/attrezzature o di organizzazione temporale per la produzione sicura di tali prodotti, riportando le specifiche procedure nel piano aziendale di autocontrollo. Visto che oggi sono praticamente alla portata di tutti macchine confezionatrici in atmosfera protettiva, a molti viene l’idea di promuovere – magari con il marchio del proprio locale – anche la vendita a propri clienti e non solo. Si può fare? A parte garantire i prerequisiti suaccennati, va fatta una verifica di tipo amministrativo/fiscale: l’attività registrata in Camera di Commercio riguarda soltanto l’attività di produzione e somministrazione di piatti pronti? O contempla anche la vendita di prodotti alimentari in generale? Se considero, invece, un laboratorio artigianale di produzione paste fresche e ripiene, questo necessita di semplice notifica ai fini di registrazione ai sensi del Reg CE 852/2004, sempreché la vendita avvenga in negozio annesso. Se il prodotto piace, non è rara la tentazione di vendere le confezioni ad altri operatori (negozi alimentari, gastronomie, GDO, …). In tale caso si tratta di capire quale è l’effettivo destino degli ingredienti che entrano nella composizione del prodotto e del ripieno più in particolare. Non vi sono assolutamente problemi (se non quelli di tipo tecnologico) nel caso di utilizzo di tutti ingredienti di origine vegetale; ma questi sono casi piuttosto isolati e limitati. Quasi sempre prendiamo in considerazione ripieni a base di ingredienti di origine animale (carni, salumi, formaggi, prodotti ittici, …). Dobbiamo allora considerare l’art. 1, comma 2 del Reg CE 853/2004: gli ingredienti di origine animale vengono semplicemente assemblati, oppure subiscono qualche trasformazione (vengono macinati, triturati, omogeneizzati, cotti) in loco? Risulta difficile pensare che non possa accadere. Siamo pertanto nella situazione che richiede il “riconoscimento” dello stabilimento, ovvero l’ottenimento dell”approval number” banalmente identificato come “bollo CEE”. Aggiungiamo poi le maggiori spese legate a qualche certificazione (es. prodotto BIO) od autorizzazione all’utilizzo del marchio (es. promozione di ingredienti DOP o IGP, che costituiscono senz’altro un plus da valorizzare). Diventa di conseguenza una situazione più complessa ed impegnativa da gestire. Fare un buon tortellino è il problema minore; decisamente più complicato produrlo e venderlo nel rispetto delle normative vigenti.