Uno spiffero maligno mi si infilava sotto la scapola ma non potevo lasciare il posto. Mi ero seduto nell’unico angolo di quella vecchia trattoria con alloggio da cui si potesse vedere chi entrava. Ci eravamo dati appuntamento là, cercando a caso nell’elenco telefonico; per noi, trovare un posto nuovo attorno a Vicenza in cui non ci conoscessero, era diventata una tortura. Doveva essere un locale in cui si potesse cenare e stare assieme qualche ora prima di rientrare in famiglia ad un’ora decente, compatibile con le bugie sugli straordinari o i viaggi fuori ufficio. Lei aveva due figli ed un marito autista; io avevo solo una moglie, che viveva in casa nostra con la madre vedova. Ripensandoci, non mi ricordo nemmeno più perché ci eravamo messi assieme: so solo che, dopo una riunione del comitato di quartiere, l’avevo accompagnata al suo condominio. Poi fu una sequela di incontri clandestini, furiosi, disordinati in alberghetti sempre più lontani e più miseri.

La lama dell’aria fredda ormai aveva oltrepassato le costole e stava raggiungendo organi vitali. Mi guardai attorno: nella credenza della sala pranzo, i ripiani dei bicchieri erano ricoperti da una tela cerata a quadretti bianchi e rossi; sui tavoli, delle tovaglie di carta di colore indeciso aspettavano viaggiatori di commercio, qualche scapolone che a casa non metteva sul fuoco neanche più il caffè, da anni. La scala a chiocciola scricchiolò per la discesa di una coppia che raggiunse in fretta l’uscita. In un angolo oscuro canticchiava, sommessamente, una radio a valvole. Avventori fumavano nel bar, parlando a voce alta con il gestore. Lei entrò, indecisa. Si guardò attorno e non mi vide. Mi alzai quasi ad impedirle di tornare sui suoi passi.

– Ciao!

– Ciao! Tutto a posto?

Raggiungemmo il mio tavolo, unico occupato, badando a non esporci alla tortura del refolo di ghiaccio. Ci scambiammo uno sguardo cercando di dimenticare quello che ci stava attorno ma era fatica.

– Che vi porto? – chiese una matrona, affacciandosi dall’interno della cucina.

– Che avete?

– Per voi, pesce veloce del baltico e torta di mais.

Era una vecchia battuta e ci venne da sorridere. Dopo due minuti, ci furono sbattuti sotto al naso, con tutta la malagrazia possibile, due meravigliosi piatti di baccalà con polenta, morbidi, di un sapore discreto all’apparenza ma vigoroso alla fine della forchettata, con un profumo che scendeva nell’anima. Quella che seguì, fu una serata memorabile.

Flavio Bisson