Pasta ripiena e l’etica del food waste

Il problema dello spreco di cibo è uno dei più controversi nel dibattito pubblico contemporaneo. Se è vero che un quantitativo impressionante del cibo prodotto non viene consumato, con enorme spreco quindi non solo di energia dei processi produttivi, ma anche di una valida fonte di nutrimento per i meno abbienti, e che cibo di ottima qualità viene spesso scartato per mere ragioni estetiche, è anche vero che allo spreco di cibo è comunemente associato un certo qual sentimento di riprovazione morale – un qualcosa che ci dice che non sia giusto sprecare, anche se non sappiamo bene perché. Lo stesso sentimento che da piccoli ci lasciava perplessi di fronte al cibo avanzato nel nostro piatto e alle minacce dei nostri genitori di finirlo perché, di certo, non volevamo renderci colpevoli di privarne un’eguale e ai nostri occhi assai virtuale quantità ad un bambino lontano migliaia di kilometri. (Un problema a cui molti di noi, da grandi, hanno poi trovato risposta nelle riflessioni del filosofo tedesco Thomas Pogge, che spiega nelle sue opere come ci sia un nesso fra povertà globale, possibilità di accesso al cibo e mancanza di redistribuzione delle risorse). Ci sono vari modi per affrontare la questione. I filosofi si interrogano sul rapporto fra responsabilità individuale e food waste (si pensi al bel saggio di Erich e Jacelyn Hathala Matthes sul preziosissimo Oxford Handbook of Food Ethics, pubblicato da Oxford University Press nel 2018), cercando di capire quale siano i nostri doveri morali di individui e consumatori nei confronti del cibo; i politici, se non diversamente impegnati, dovrebbero sviluppare politiche alimentari capaci di limitare i danni in modo intelligente – si pensi all’esperienza francese, un modello di successo nella gestione dello spreco alimentare. Ma il problema con cui tutti prima o poi ci confrontiamo nella nostra dimensione domestica e quotidiana è: cosa fare con quella rapa rimasta in frigo a piangere attenzioni quando non abbiamo voglia di andare a fare spesa, sprecare “pare brutto”, ma quella rapa proprio non ci va, e ordinare la pizza a domicilio pare ancora più brutto – nei confronti della rapa, del povero fattorino dal naso colante per il freddo, e di noi stessi, buffi e vogliosi esseri essenzialmente governati da gola e pigrizia? In questi ultimi anni, complice un incredibile successo mediatico, gli chef hanno fatto della lotta allo spreco di cibo un punto fermo della loro etica ed estetica culinaria. Ingredienti di scarto vengono così trasformati in grandi piatti gourmet, o sulla scia di un’ispirazione tradizionale del passato (quando, come ricorda Dan Barber del ristorante Blue Hill di New York, non c’era modo di sprecare il cibo: “there wasn’t food waste because you couldn’t afford food waste”) o seguendo innovazione e creatività estetica. Uno dei piatti che meglio permette di combinare le due tendenze è certamente la pasta ripiena, come dimostrano piatti della tradizione italiana come i tortelli di patate del Mugello o i casiunzei all’ampezzana, con ripieno di rape rosse. E se lo chef del Blue Hill propone spesso in carta i suoi “lamb and winter vegetable ravioli” (ripieni di avanzi di agnello e scarti di verdure da altre ricette), Norbert Niederkofler delizia spesso i suoi affezionati clienti con gli ormai celebri “Ravioli con Buonenrico”, una pianta erbacea molto simile allo spinacio. Ormai famosissimi anche i ravioli “anti-spreco post-natalizio” di Massimo Bottura, con ripieno di lenticchie e cotechino. Cambiare le abitudini alimentari individuali per ridurre gli sprechi è certamente di importanza primaria. Ed è vero che imparare a cucinare meglio con gli ingredienti non sempre entusiasmanti che ci ritroviamo in frigo è una virtù che gli chef ci hanno insegnato a coltivare. Tuttavia, alcuni filosofi che si occupano di etica del cibo hanno sostenuto che, sebbene ridurre lo spreco di cibo a livello domestico sia certamente una buona pratica – per le nostre tasche e per la nostra coscienza – un’eccessiva insistenza sull’effettiva capacità del singolo comportamento individuale di cambiare un fenomeno di ben più vasta portata potrebbe scoraggiare efficaci interventi istituzionali e riforme politiche. In altre parole, la retorica del “fare la differenza” attraverso il comportamento virtuoso individuale potrebbe fornire alla politica l’ennesimo alibi per sottrarsi alle proprie responsabilità. Quella rapa semplicemente non dovrebbe essere nel nostro frigo (nonostante le nostre capacità di trasformarla in uno squisito piatto di casiunzei). È affare della politica far sì che non ci sia.

di Francesca Iurlaro