Nei trascorsi giorni natalizi ho approfittato anch’io per stare in famiglia ed ho vissuto l’ambiente domestico in misura eccezionale rispetto al normale corso dell’anno. Buona cosa, si fa un ripasso di tutte le routine, si ritrovano tutti i posti dove sono ordinate le cose, anche quelle che dimenticavamo di possedere, per poi fruirne nell’anno successivo, e poi si cerca di rendersi utili prendendosi alcuni incarichi domestici. Così ho avuto a che fare con il riordino dei rifiuti domestici. Sciarpa e berretto per portare i sacchetti in strada, ma prima ancora la divisione. Umido, plastica e lattine, carta e cartone, vetro, pile e farmaci, rifiuti elettrici, olio di friggitura, rifiuti di taglia rilevante, e infine, tutto il resto nel secco non riciclabile. A parte le sottigliezze sui gusci delle cozze (ostriche per chi se le è ancora potute permettere), se vadano con l’umido come gli altri rifiuti organici o piuttosto col secco non riciclabile dati i lunghi tempi di decomposizione, anche su salviette e piatti di carta non si scherza: per stabilire quando siano sufficientemente sporchi da metterli sull’umido o sufficientemente puliti da inserirli sulla carta ci vuole quel senso pratico che non è di chi si occupa delle vicende di casa un giorno l’anno. Più di tutto però un paradosso mi sembrava un’alchimia: la plastica! Come mai un sacchetto dei grissini, la confezione del formaggio fresco, il packaging della frutta, tutto il polistirolo dei giocattoli dell’albero di Natale, il sacchetto dei salumi sottovuoto, così come la pellicola degli alimenti, se pulita, vanno nella plastica (e, siamo propensi a credere come ci dicono, vada riciclata), mentre un gran pezzo di plastica unica e importante come una sedia da giardino rotta, il portavivande termico da campeggio o il profilo di mascheratura dell’impianto elettrico, vanno nel secco non riciclabile? Non è dato di sapere al cittadino comune. Ricordando alcune nozioni di chimica inorganica, studiata ormai molti anni or sono, ho tentato di vedere se la separazione fra plastiche termo indurenti e termoplastiche, coincidesse con quella impostami dal Comune. All’epoca si diceva che le prime erano difficilmente riciclabili, mentre dalle seconde se ne poteva trarre un valore economico dal loro riutilizzo: ciò avrebbe dato un senso al mio lavoro di separazione. E invece no, nella plastica confluiva una moltitudine di materiali, a volte anche compositi. Sembrava quasi il mondo dell’assurdo: i pezzi di plastica migliori non si dovevano mettere fra la plastica, mentre al riciclaggio, oltre alle comprensibili bottiglie delle bibite, mandiamo una serie di minute ed insignificanti porcherie! Alla fine ho fatto come fa chiunque perde il senso dell’orientamento: sono ritornato ai fondamentali. Se metto la plastica in due posti diversi è perché uno deve essere trasportato da un soggetto e l’altro da un altro, o, quantomeno, uno va su un circuito governato da un soggetto, e uno da un altro soggetto, indipendentemente che vadano entrambi allo smaltitore o meno. Il primo soggetto che mi è venuto in mente è stato il Conai che, le aziende dicono di pagare loro con i loro soldi, i cittadini dicono di pagare loro nel valore degli acquisti effettuati. E riguardando i miei due mucchietti notavo che, nel contenitore della plastica/alluminio, avevo ammucchiato, secondo le istruzioni impartitemi dal Comune, alla fine tutta una serie di imballaggi, mentre nell’altro, tutte le plastiche che non potevano definirsi imballaggi. Ora che il mio comportamento stava uniformandosi ad una logica, nascevano spontanee le conseguenti riflessioni: probabilmente la raccolta e il riciclo della plastica non è vantaggioso, ma se c’è qualcuno (il cittadino) che paga tutti i costi di raccolta e il riciclo, anche se se ne ricavano pochi centesimi, è tutto guadagno. Mi sono sentito il solito pollo da spennare (“indignato” sarebbe, per usare un termine attuale), il cittadino che, poiché non si riesce a tassare all’infinito, bisogna studiare di fargli pagare ciò per cui è già stato tassato! La riflessione che ne conseguiva è stata: “Vuoi dire che sto facendo tutto questo lavoro di separazione solo perché alcune tasse di smaltimento di nuova generazione me le hanno fatte pagare nel momento dell’acquisto?”. Non me le hanno mica scalate dalle altre! Tristemente, ho cercato di ridarmi una dignità dicendo che, almeno si sta facendo qualcosa di nobile. Non avevo ancora finito di annodare i sacchetti quando un’altro pensiero mi è balzato in testa: se pago due volte per lo smaltimento dei rifiuti, perché sto lavorando io a differenziarli? Una volta quando uno pagava aveva dei diritti, oppure nulla in cambio, non pagava per avere anche oneri aggiuntivi! Se la risposta fosse che anche il Conai ha imparato presto dallo Stato a riscuotere e a non fare, a questo noi indignati siamo abituati, ma la cosa che fa ancora più venire il nervoso è che, a fronte di questo, paghiamo due volte il trasporto, solo perché un giorno ci vengono a prendere i rifiuti che paghiamo come tassa tramite il Conai, l’altro quelli che paghiamo come imposta tramite il Comune. E… paga Pantalone! p.s.: si deve riconoscere la sensibilità di averlo chiamato contributo ambientale e non tassa.

Nereo Marzaro