All’improvviso, la nebbia. Fitta, silenziosa, subdola. E lo smarrimento di non avere più punti di riferimento. Il vecchio Genesio si girò verso la cima della collina che conosceva a menadito e ne vide gli ultimi alberi; guardò l’ora: le quattro meno dieci. Tra poco sarebbe stato buio completo. Un fischio: nessun segno di vita. Genesio fischiò di nuovo, Cosetta non aveva mai fatto così prima, correva immediatamente al richiamo, per stargli accanto finché lui non le ordinava: “ Cerca!” e lei cominciava a frugare il bosco, col suo fiuto da cane da tartufo. – Cosetta, Cosettaaaa! Niente. La nebbia si era immobilizzata intorno a lui. Provò ancora a modulare il sibilo che Cosetta conosceva benissimo e che sentiva da molto lontano, quando girovagavano per le Langhe. Ma non fu che silenzio e Genesio sentì il bisogno di appoggiarsi a qualcosa. Fece qualche passo, stentando, e trovò un faggio contorto. Si tenne al fusto con una mano e ricominciò a fischiare e a chiamare il suo animale. Non se ne sarebbe andato senza di lei, anche perché, senza di lei, difficilmente avrebbe trovato la strada verso l’auto che aveva parcheggiato al limitare del bosco. Muoversi da lì avrebbe complicato le cose: meglio stare fermi. Si sedette e accostò il busto all’albero. Cercò nella tasca il cellulare nell’assurda speranza che, in quelle parti, ci fosse campo. Nel giubbotto, oltre al telefonino, sentì il gonfiore del tartufo, accuratamente nascosto in un anfratto del suo tecnico. Aveva trovato un tartufo fuori dal comune, da prendere il premio ad Alba. Ma la cosa non gli fece nessun piacere; la soddisfazione di un paio di ore prima, quando Cosetta lo aveva chiamato, guaendo come una pazza, era svanita: ora era preoccupato per sé, per la notte incombente, per la cagnetta e per essersi fatto fregare dalla nebbia come un principiante. Accese il cellulare. Naturalmente neanche una tacca sul display. Attenzione: un frusciare di foglie sulla sinistra! Genesio scatta in piedi, muto, con i peli del corpo ritti come setole. Tende l’orecchio. C’è qualcuno che si muove cautamente tra le foglie, anzi, sono in due, forse di più. Gli viene in mente quello che si sono raccontati nelle lunghe sere in osteria, che nei boschi si sono formati branchi di cani randagi, abbandonati dai loro padroni, che hanno organizzato forme di sopravvivenza, agendo come lupi. Un tremito incontrollabile gli prende la gamba sinistra, non riesce a fermarlo ed è sempre più forte. Il movimento potrebbe trasmettersi al piede che, agitando le foglie morte a terra, potrebbe rivelare la sua presenza. Si prende il ginocchio con entrambe le mani e lo solleva in aria, stringendolo con tutte le sue forze. Vede nell’aria la sua scarpa che si agita impazzita, senza governo. Adesso il rumore di foglie calpestate si è fatto più cauto, ma è chiaro che sono più di uno e non sono passi di uomini. Occupato com’è a tenersi la gamba, Genesio non ha nessuna possibilità di tirar fuori il coltello dalla fodera. Il sudore gli cola dalla nuca giù per la schiena e le gocce diventano sempre più fredde man mano che vanno giù. Si accorge che il terrore sta prendendo il sopravvento e lui lo sa che, se perde il controllo, è la fine. Deve cercare di restare calmo, di non perdere il controllo. Inconsciamente comincia a pregare e, nella sua mente, ode recitare una vecchia preghiera di quando era bambino: “Angelo di Dio, che sei il mio custode …”. La ripete una, due, tre volte nel bosco buio che ora è nel silenzio totale. Gli viene una strana calma, come a dire: “Sia quel che sia. Non c’è via d’uscita”. Sono là, caricati come molle, che attendono il momento di andare all’attacco. Lui è pronto. Ha calato il piede sinistro a terra e ce l’ha fatta a prendere il coltello. Piega leggermente le ginocchia e respira a fondo. – Genesio, Genesio, dove sei? Un’onda calda gli attraversa il corpo. Fa per parlare ma non emette nessun suono. Allora si mette a correre verso la voce: incespica, si sferza il viso con i rami, si ferisce alle mani, ma non importa. E corre ad abbracciare Aldo, il suo più grande concorrente nella caccia al tartufo, facendosi precedere dal suo caratteristico fischio. Genesio ride, salta, piange, non si sa trattenere. L’uomo ride anche lui e gli dice di aver trovato Cosetta presa in una trappola per volpi, per cui ha cominciato a cercarlo ma anche lui era in difficoltà per la nebbia. Scendono lentamente a valle. Quando sono alle macchine, Genesio trova Cosetta nel sedile posteriore di  Aldo; vorrebbe alzarsi ma non ce la fa e manifesta la sua gioia come può. Genesio l’accarezza a lungo, poi va verso il suo eterno rivale, toglie dalle segrete tasche del giubbotto il più bel tartufo della sua vita e glielo caccia nelle mani. Le auto ripartono nel buio delle Langhe. All’osteria, da stasera, ci sarà una bella storia da raccontare, prima che finisca l’inverno.