La seconda notte di nozze, giugno 1971, Gianna ed io la trascorremmo a Chamonix e là gustammo la Fondue de fromage aux truffes, presentata come savoyarde, ma è uguale in Valle d’Aosta. Giordano Berti, esperto di tradizioni popolari, ha scritto che il tartufo “induce dopo il pasto i desideri d’amore”. Non so se i seguiti di quella cena vadano attribuiti al tartufo o al fatto che si trattava appunto della seconda notte di nozze. Sette anni dopo, al Festival di Sanremo, Rino Gaetano, artista fuori dagli schemi, cantò “Gianna aveva un fiuto eccezionale per il tartufo”. Il tartufo è un’icona del bel vivere, come le ostriche, il caviale, lo champagne, tutta roba che non costa poco e che può tentare anche i malintenzionati, dunque occorre attenzione nell’acquisto e diffidare delle imitazioni. Il Bianco d’Alba, il Nero di Norcia e del Perigord si dice siano il meglio, ma sono apprezzati anche quelli di San Miniato, di Acqualagna, di San Pietro Avellana e, vicino a noi, quelli dei Colli Berici. Per trovarli ci vogliono i cani, che possono appartenere alle razze più diverse, dunque cani da tartufi non si nasce ma lo si diventa. Sembra però che il “Lagotto romagnolo”, simpatico pelosone, sia particolarmente dotato.

Che sia per questo che l’estremità del naso del cane si chiama “tartufo”? Pure il maiale è un buon cercatore, ma dal 1985 la legge lo proibisce per il suo scavare irruento che rovina i terreni e condiziona le produzioni. “Tartufo” è la commedia che Molière presentò nel 1664 ed è la storia di un personaggio impostore ed ipocrita. Il Re Sole prima la gradì poi la proibì, pare su pressione di alti prelati ai quali quel tartufo era forse risultato indigesto.