Con queste parole una mia zia, amante della cucina, raccontava le sue polpette. A detta del parentado erano piccole opere d’arte per il palato di grandi e piccini, definite da molti una “esplosione di bontà”. In effetti lei sosteneva che la carne (si rivolgeva per questo al suo macellaio di fiducia) doveva essere macinata poco prima del suo impiego, in modo che rimanesse ben morbida. Poi la mistura con il pane doveva avvenire con cura e dovizia, facendo in modo che il pane, con giusto rapporto tra crosta e mollica, non fosse troppo bagnato ma che doveva essere capace di assorbire anche i succhi della carne stessa. Per questo lei preparava l’impasto di pane bagnato (con metà latte e metà acqua) mescolandolo con la carne la mattina, per poi confezionare il tutto, le singole polpette, la sera stessa. Poi, con il calar del sole, iniziava il rito dell’impasto, con tuorli, Parmigiano Reggiano, pochissimo aglio tritato, prezzemolo fresco e ben tritato, sale, pepe al mulinello e un pizzico di “passione”. Pizzico mai svelato a nessuno, noi crediamo sia stato una mistura di cannella, noce moscata e chiodi di garofano, simile al “pisto” per i roccocò napoletani. Ma il bello veniva al momento della cottura perché in padella di ferro, “la fersora sua preferita”, irrorata a volte con strutto e a volte con olio di oliva extravergine, si svelava l’arcano. Il profumo tipico di polpette fritte inondava la casa e il circondario, era un godimento sensoriale per quanti potevano sentirne il profumo. Da quel momento polpetta, morbidella, schiacciatina, svizzera, Pidok, o altra preparazione di macinato passata nelle mie mani aveva come scopo primo quello di perpetuare un rito, evocare quel gusto di una volta, quello delle “polpette di mia zia”. Con gli allievi di scuola, nel corso di alcuni anni, sviluppo una lezione specifica sull’impiego di carni macinate, costruendo delle tabelle legate al corretto uso del pane bagnato, della carne macinata e, soprattutto, alle molteplici opportunità di aromatizzazione. Ci tengo a dire da subito che un ruolo importante per le polpette lo ha il pane raffermo, possibilmente a pasta acida, cioè quello prodotto con lievito madre, che deve essere ben asciutto, secco e bagnato poco per volta. Non sarebbe corretto bagnarlo e poi strizzarlo come fanno in molti perché insieme all’umidità superflua andrebbe via anche parte dell’amido del pane. Ottima carne macinata, impiegata cruda se possibile, ottimo pane giustamente ammorbidito, poi la presenza legante del tuorlo, tanto da rendere l’impasto della polpetta consistente ma nel contempo morbida e non molliccia. Ecco perché l’albume non dovrebbe essere impiegato. Ma se lo si vuole utilizzare, allora bilanciate la sua presenza, diminuendo l’umidità per il bagno del pane. Ora date un’occhiata alla tabella e sperimentate, potendo quindi dire la vostra e fare le vostre polpette. Ricordate che sale e pepe sono a vostro piacimento. Il sistema di cottura impiegato è stata la frittura, impiegando solo l’olio extravergine d’oliva, avendo cura di sgocciolarle molto bene. Nella fase di degustazione gli allievi hanno sostenuto che dove c’è il pecorino l’impasto è più saporito, lasciando un gusto deciso. La carne dovrebbe essere solo di manzo, macinata non troppo sottile, e la quantità di condimento legato al “pisto” può essere facoltativa. Il bagno in latte o acqua non influisce nel risultato – gusto impercettibile – mentre la struttura cambia se sono stati impiegati tuorli o uova intere. Per sapere di più circa l’impiego di carni cotte, dovremmo aspettare un prossimo studio, perché – a detta di alcuni allievi – le polpette fatte con carne cotta presentano un gusto completamente diverso.

Marco Valletta