L’etichettatura dei prodotti alimentari rappresenta il miglior strumento per tutelare i consumatori ed agevolarli in una scelta consapevole del prodotto. Ferme le disposizioni generali per l’etichettatura dei prodotti alimentari dettate dal decreto legislativo 109/1992, successivamente modificato in particolare dal decreto legislativo 181/2003, relativamente ai prodotti ittici la normativa principale in materia è rappresentata dal regolamento CE n. 104/2000 concernente l’etichettatura dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura, dal regolamento CE n. 2065/2001 recante le modalita’ di applicazione del reg. CE n. 104/2000 e, per quanto riguarda l’Italia, dal decreto ministeriale 27 marzo 2002, intitolato “etichettatura dei prodotti ittici e sistema di controllo”.

Tuttavia, merita di essere segnalato il fatto che, nonostante l’esistenza di una puntuale disciplina, sia a livello comunitario che a livello nazionale, il settore ittico presenta ancora diverse lacune nell’etichettatura e tale fenomeno risulta oggi più grave in considerazione dell’incremento delle importazioni di prodotti ittici extra-europei che, il più delle volte, incuranti della specifica normativa vigente, vengono spacciati per comunitari, generando spesso gravi problemi a livello igienico-sanitario.

Molteplici in questo settore sono le frodi e le truffe a danno dei consumatori e numerosi sono i casi scoperti di insufficienti garanzie igienico- sanitarie, a dispetto dell’obbligatoria disciplina.

La frodi più frequenti riguardano il mancato rispetto della normativa sull’etichettatura, il mancato rispetto delle norme igienico-sanitarie e delle taglie minime, l’utilizzo di coloranti vietati.

Tra le truffe più ricorrenti vi sono la vendita di pesce scongelato come

prodotto fresco e la vendita di pesci di origine extra-europea spacciati per italiani, come il caso del cosiddetto “pesce ghiaccio” di origine cinese spacciato come novellame italiano.

Questa situazione preoccupante è confermata dai dati dei controlli eseguiti dalla Guardia Costiera che hanno rilevato come nei banchi di pesce dei mercati rionali di tutta Italia solo una percentuale poco superiore al 30% riporti tutte le informazioni obbligatorie richieste dalla legge, ossia: la denominazione commerciale della specie, il metodo di produzione (pescato o allevato), la zona di cattura o allevamento.

Tali indicazioni ai fini della tracciabilità sono obbligatorie in ogni stadio della commercializzazione e, a seconda dei casi, sono fornite mediante  l’etichettatura o l’imballaggio del prodotto o mediante qualsiasi documento commerciale della merce, ivi compresa la fattura.

Ai fini dell’etichettatura è obbligatorio che tutte le specie ittiche esposte abbiano un cartellino con il nome commerciale ed il prezzo al chilogrammo; deve essere segnalato se si tratta di pesce scongelato o meno e deve essere indicato se è pesce di allevamento o pescato in mare o in acque interne.

Ancora, la normativa vigente in materia richiede le seguenti diciture:

“prodotto della pesca” se pescato in mare, “prodotto della pesca in acqua dolce” se pescato in acque interne, “prodotto di acquacoltura” se allevato.

Per quanto riguarda poi la zona di cattura, per il pesce di allevamento e per quello pescato in acque dolci è sufficiente indicare il nome del Paese in cui è stato allevato o catturato; mentre per quello pescato in mare l’indicazione può essere in codice, risultando però in questo secondo

caso più difficile la distinzione, per esempio tra pesci del Mediterraneo, generalmente più pregiati e con meno inquinanti chimici (in particolare metalli pesanti e diossina) e quelli delle corrispondenti specie oceaniche. Tra queste informazioni obbligatorie, sempre dai controlli delle Autorità competenti, risulta che l’indicazione maggiormente rispettata è la denominazione commerciale della specie, mentre spesso risultano carenti le informazioni inerenti al metodo di produzione e alla zona di cattura o di allevamento. Qualora sia omesssa l’indicazione della denominazione commerciale o del metodo di produzione o della zona di cattura, la legge prevede sanzioni comprese tra 516,00 euro e 3.098,00 euro. Concludendo, nonostante l’esistenza di un adeguato quadro normativo disciplinante la materia, alla luce dei ricorrenti casi di frodi, truffe e sequestri di merce in dubbio stato di conservazione, ci si augura non tanto un incremento di disciplina bensì una maggiore applicazione di quella già esistente

Annalisa Case