Della mela, oltre che l’essere un frutto gustoso, mi viene in mente la tentazione di Eva con tutto il conseguente fardello di fatiche per il genere umano, compreso il guadagnarsi il pane con sudore e partorire con dolore. Più tardi aiutò Isacco Newton a definire la “legge della gravitazione universale”. Ma la pera? Qual’è il suo ruolo? Mi sembra una sorta di sorellastra della mela, sovente vicina a lei, ma anche da sola, simile eppure diversa. “Tu hai sommato pere con mele” mi rimproverava la maestra ai miei primi approcci con l’aritmetica. “Mi è caduta tra le braccia come una pera matura”, si vantava il rubacuori in epoche passate. Al plurale la pera diviene “pere” ed in coppia il significato cambia eccome, dando spazio a sfrontati repertori goliardici sul tema della bellezza femminile. “Le pere non basta farle vedere, bisogna toccarle per saper se son vere”, diceva una vecchia strofetta, di certo nata in un’ anonima osteria dalle parti di una qualche Università. Ma “a pera” viene disinvoltamente definita anche un’altra parte del corpo muliebre, tra i cui celebri estimatori possiamo ricordare Gabriele D’Annunzio, il “vate” e Tinto Brass, gaudente e discusso regista. Pera dunque quale sinonimo di aggraziata opulenza, di sinuose rotondità identificate nella forma del frutto. Ma quel nome entra anche in brutte e tristi espressioni, come “farsi una pera”, evocatrice di squallore ed emarginazione. Molto meglio dunque “al contadino non far sapere quanto è buono il formaggio con le pere”, ancor più se rigorosamente n.g.m. ed a chilometri zero. Scopro però che il maggiore produttore di pere al mondo è la Cina. Ti pareva!