Arturo Gallerini, detto Bego, come cercatore di tartufi non era uno che gli garbava andarli a cercare fuori dei suoi posti. C’era chi nella stagione della raccolta allargava i giri fino a Granaiolo e chi andava a piedi verso le balze di Volterra dove si stanziava dal lunedì al sabato trovando da dormire in qualche casa di contadino. Lui si era convinto che la terra dove stava era la più “donativa” e che ad averla trascurata se ne sarebbe avuta a male: si sarebbe sdegnata e avrebbe smesso di buttare. Questa terra butta e butta bene! Nel suo taccuino a righe, un librettino dalla copertina nera con il labbro rosso, troviamo nomi di posti ancora conosciuti da qualsiasi tartufaio della zona: Pinocchieto, Piaggine, Doccia, Cambiati, Broto a Rosa, Rogacciaia, Macchiafonte, Vallina, Noceto e Vermana. Agli amici e conoscenti affermava, sperando di esser creduto, che più che altro lui andava di giorno, a barluzzo. E invece era un nottambulo! Così dicevano tutti. Aggiungeva di trovarne tanti, magari sperando di esser preso per un bugiardo come ogni buon tartufaio. E invece questo era proprio vero perché se si scorre quel taccuino a righe dove sono riportate tutte le pesate, si scopre che in piena stagione raccoglieva 14 o 15 chili ogni mese. Quasi mezzo chilo al giorno! A quei tempi era Proposto di Balconevisi un certo Marabotti, un prete che sapeva unire la dottrina ad un grande buonsenso e per questo era ascoltato da tutti. Se c’era uno a cui non raccontasse qualche bugia era proprio lui. Un giorno gli fece questa domanda: “Come sta Sor Proposto che uno ha il diritto di andare a pigliare un tartufo in un terreno di un altro?” E il Proposto rispose: “Res abscondita primi invenientis”; questa è una massima latina che vuol dire: Una cosa nascosta è di chi la trova per primo. È lo stesso principio per cui uno può appropriarsi di un tesoro nascosto! Poi aggiunse qualcosa che, per la sua profondità, lo fece quasi rabbrividire: “ Vedi, Bego… il tartufo non è qualcosa di coltivato, non è un frutto della terra. E’ un parto della terra!” Questo paragone gli sembrò convincente perché il mestiere del tartufaio assomiglia un po’ a quello della levatrice perché richiede delicatezza e bravura quando si tira fuori dalla terra. Quella notte, era la notte del 26 ottobre 1954, Arturo Gallerini, detto Bego, ritornò a casa che si trovava nella località di Saccuccio a Balconevisi con una gran voglia di pesare quella cosa che era davvero grossa come la testa di un bambino. Dopo aver serrato l’uscio di fuori, mise la sacchetta di canapa sul tavolo. Accese una di quelle candele che il Proposto gli donava come scarti di sacrestia; quelle non facevano fumo come quelle che si compravano a bottega. A quella tremula luce la bilancia d’ottone dette un lucore dorato. Nello staccarla dal muro gli anelli dettero il solito allegro tintinnio. Parigi, il suo cane meticcio, si mise a gironzolare come al solito intorno alla tavola e questo era un modo di prender parte alla consueta operazione della pesa. Mise il tartufo nel piatto della bilancia e tirò su l’anello. Aveva calcolato male il numero delle tacche perché il romano della bilancia scorse sull’asta e ritornò a zero, l’asta si rizzò in alto e il piatto dove c’era il tartufo ripiombò in basso verso la tavola. Vai piano, Bego! Bego, vai piano! Questo è veramente un tartufo mondiale! Frenando l’emozione, ritrovò tutta la calma che ci voleva per mettere il romano sul punto giusto. Il tartufo pesava due chili e diciotto tacche! Bego lo scrisse nel suo taccuino nero a labbro rosso che si conserva ancora nella casa della figlia. Nelle pagine a righe di quinta annotò: Trovato in Vallina. Si conserva ancora la bilancia d’ottone che segnava in grammi e in tacche e che in quella notte fece saltare l’asta verso l’alto. Quanto era tramandabile era affidato a questa specie di diario di un tartufaio di Balconevisi. Il resto doveva rimanere segreto perché anche a quei tempi il commercio si doveva giocare sull’immagine. Ne sanno qualcosa i Morra di Alba. Portando i tartufi di San Miniato in quella rinomatissima città portavano prestigio alla loro terra, ma, essendo commercianti veraci ed onesti, erano disposti a pagare oltre che il prezzo del tartufo anche la riserva del segreto. Il fatto del tartufo del peso di oltre due chili, donato dalla città di Alba al Presidente degli Stati Uniti, qui a San Miniato non è stato mai un mistero, ma solo un segreto. Ora, dopo la scoperta del taccuino di Arturo Gallerini, non è nemmeno più un segreto: è una piccola storia dissepolta dalle sabbie plioceniche di questa magica terra, proprio come un tartufo.
Don Luciano Marrucci