La lunghezza della nostra vita dipende dalla genetica solamente per il 20%, mentre per l’80% è determinata da fattori ambientali ed alimentari. Una corretta alimentazione deve comprendere ogni giorno, per ogni Kg del nostro peso ideale, 1 g di proteine, 1 g di grassi e 3-4 g di zuccheri da aumentare proporzionalmente alla quantità di attività fisica, costituiti al 90% da amidi, limitando gli zuccheri semplici a meno del 10%. Indispensabili poi almeno 20-40 g di fibre, il giusto quantitativo di vitamine ed oligoelementi, il corretto apporto idrico.

Qual è il cibo ideale per l’uomo? O meglio, esiste un cibo che, da solo, possiamo assumere per 1 anno stando in perfetta salute? La risposta è il latte materno: nella sua composizione bromatologica, che varia un po’ con il periodo di lattazione e l’aumento dell’età del neonato, questo è sicuramente l’alimento ideale, il “giusto carburante” per il nostro organismo. Anche nella nostra vita adulta la composizione complessiva della dieta dovrebbe tendere a contenere i nutrienti in quel giusto rapporto. Sono infatti noti i problemi derivanti da eccesso di alcuni alimenti, o da carenze. Problemi gravi si possono verificare per carenza di assunzione di aminoacidi essenziali (come può accadere ai vegetariani assoluti), o di acidi grassi essenziali. La parola “essenziale” riferita agli aminoacidi o agli acidi grassi indica l’impossibilità di costruirli nel nostro organismo, con la conseguente indispensabilità della loro assunzione con la dieta. Degli acidi grassi essenziali, i famosi n(omega)3 (ac. linolenico) ed n6 (ac. linoleico), pochi sanno che questa definizione indica dopo quale atomo di carbonio della catena che li costituisce (potendo comprenderne 16 o 18, eccetera) è posto il primo dei 2 o più doppi legami, a partire dal gruppo metilico, che fanno definire “insaturo” l’acido grasso che li possiede. In genere il legame tra gli atomi di carbonio degli acidi grassi è singolo e forte (immaginate l’acido grasso come un rosario con i grani tenuti assieme da un unico cordoncino molto robusto): quando tutti i legami sono singoli e forti, l’acido grasso è definito saturo e, a temperatura ambiente, tende ad essere solido. Quando uno solo dei legami è doppio parliamo di acido grasso monoinsaturo (l’acido oleico è il maggiore rappresentante di questa categoria, ed è liquido a temperatura ambiente). Gli essenziali, o polinsaturi, posseggono 2 o più doppi legami. Questi sono legami deboli (come se nel rosario 2 o più dei grani siano tenuti assieme da due fili molto deboli) e costituiscono il sito in cui più facilmente può legarsi l’ossigeno, con conseguente ossidazione, che arriva a determinare nei grassi l’irrancidimento. Per evitare l’irrancidimento l’industria alimentare lega preventivamente un atomo di idrogeno in quei siti ove si legherebbe l’ossigeno, ottenendo l’acido grasso idrogenato. L’acido grasso polinsaturo così trattato non tende più a diventare rancido, ma il nostro organismo, che non lo riconosce poiché non l’ha mai incontrato nei milioni di anni precedenti, oltre a metabolizzarlo in maniera poco corretta lo utilizza al pari dei normali polinsaturi quale costituente delle membrane cellulari, con il risultato di arrivare ad alterarne anche gravemente la funzione: un po’ come mettere nella nostra casa un portone con un buco di un metro. Noi mangiamo spesso acidi grassi idrogenati e purtroppo li facciamo mangiare anche ai nostri figli, ad esempio in molte merendine preconfezionate.

Nel nostro organismo i depositi di grassi sono costituiti per la maggior parte da trigliceridi (composti da una molecola di glicerina – alcool a 3 atomi di carbonio – che lega 3 molecole di acidi grassi) contenenti per il 75% circa ac. grassi monoinsaturi (ac. oleico e simili), per il 13% circa ac. grassi saturi (palmitico, stearico, ecc.), per il restante 12% circa polinsaturi (linolenico, linoleico, ecc) e nel latte materno il rapporto tra saturi e polinsaturi è quasi 1/1 ed il rapporto tra n3 ed n6 è circa 1/10. Questi sono approssimativamente i numeri percentuali espressi dalla composizione lipidica di un buon olio extravergine di oliva: nessun altro olio vegetale gli si avvicina. L’olio di palma, spesso usato per la frittura delle patatine, è costituito per oltre il 55% da ac. grassi saturi, quello di cocco può arrivare ad averne addirittura quasi il 100%. Noi temiamo molto i danni provocati dall’eccessiva assunzione di acidi grassi saturi, consapevoli che questi possono portare facilmente all’aterosclerosi, all’infarto del miocardio e ad aumentare la tendenza all’obesità. Di conseguenza siamo attenti (anche eccessivamente a volte) a togliere il grasso dal prosciutto, o dalla carne, ma facciamo mangiare ai nostri figli intere confezioni di patatine. Il mais, il girasole e la soia producono oli ad elevato contenuto di polinsaturi (anche fino ad oltre il 65%). Da spot pubblicitari televisivi veniamo indotti a credere che il consumo costante ed abbondante di questi oli di semi aiuti il nostro cuore, preservandolo dalle malattie coronariche. Un eccessivo consumo di polinsaturi potrebbe invece costituire un problema per il nostro organismo, la cui scarsa capacità metabolica nei loro confronti può condurre alla formazione di perossidi: questi sono tra i peggiori nemici delle nostre cellule, responsabili dell’invecchiamento ed anche della possibile facilitazione di insorgenza di malattie tumorali. Noi assorbiamo poi facilmente ed utilizziamo bene i poiinsaturi CIS presenti in natura (ad esempio nel pesce azzurro o nell’olio extravergine di oliva) mentre assorbiamo lentamente, ed utilizziamo malissimo, i polinsaturi TRANS, molto presenti negli oli di semi a seguito dei trattamenti chimici e termici utilizzati per la loro estrazione, con ulteriori problemi derivanti dal loro consumo poiché inducono l’aumento delle lipoproteine LDL, quelle cattive che aumentano il rischio di aterosclerosi ed infarto. Queste possono essere ragioni già sufficienti per preferire il consumo di Olio di Oliva Extravergine a quello di qualunque altro grasso vegetale.

Del totale dei grassi vegetali usati nel mondo per l’alimentazione umana, l’olio da olive è poco più del 3% e molto meno della metà di questo è Extravergine. Sono quindi prevalenti la categoria Vergine e soprattutto Lampante che, non direttamente commestibile, viene raffinata per essere commercializzata, aggiunta di oli di categoria fino a vergine, come “olio d’oliva”. Degli extravergini prodotti nel mondo la stragrande maggioranza è costituita da oli di basso prezzo, ottenuti da olivicoltura intensiva o in Paesi che godono di basso costo del lavoro umano. Etichettati anche con marchi italiani che spesso appartengono a Società Spagnole, Svizzere, eccetera, questi extravergini commerciali, pur rientrando nella classe merceologica dichiarata, difficilmente possono essere considerati di alta qualità.

Per definire “di alta qualità” un extravergine va considerata dapprima la composizione dei lipidi, che rappresentano oltre il 98% in peso dell’olio e costituiscono la “frazione saponificabile”. Di alta qualità sono quei prodotti che hanno un elevato contenuto in acido oleico, anche oltre il 75%, ed un giusto rapporto tra saturi/insaturi e tra n3 ed n6. Alla valutazione organolettica una maggiore presenza di ac. oleico ed un giusto contenuto di polinsaturi conferisce all’olio una maggiore fluidità. Importantissima è poi la “frazione insaponificabile”, costituita da oltre 250 componenti che rappresentano tutti assieme nemmeno il 2% del peso dell’olio. Tra questi spiccano idrocarburi (squalene), cere, alcoli di- e tri-terpenici ed alitatici, sostanze coloranti quali clorofilla e caroteni, vitamine liposolubili (A, D, K) ed antiossidanti, tra cui i biofenoli (o fenoli polari, conosciuti come polifenoli) ed i tocoferoli (vitamina E). Questi componenti conferiscono all’olio colore, profumi e sapori, determinandone le qualità organolettiche positive, comprese le importantissime caratteristiche di amaro e piccante. Tra gli antiossidanti presenti nell’olio extravergine di oliva, recentemente è stata evidenziata l’importanza dell’oleocantale, sostanza che conferisce netta sensazione piccante e possiede anche una spiccatissima proprietà antiinfiammatoria, paragonabile a quella dell’aspirina. La presenza dell’amaro e del piccante, che sono ben apprezzabili quando i polifenoli totali superano le 250-300 ppm (parti per milione) testimonia quindi l’alta qualità di un extravergine, capace di apportare notevoli benefici alla nostra salute dallo svezzamento alla vecchiaia. Consumare quotidianamente 30-40 grammi (nell’adulto) di olio di alta qualità assicura l’assunzione della giusta quantità di acidi grassi essenziali e vitamine liposolubili ed un apporto di antiossidanti naturali capaci di contribuire a ridurre l’insorgenza di tumori della mammella, dell’ovaio, dello stomaco, dell’esofago, dei polmoni, del colon, della prostata, di percentuali importantissime, variabili dal 35 al 70 % a seconda degli organi considerati. Poiché gli oli extravergini di alta qualità assieme ai benefici per la salute regalano anche gioia al palato, sarebbe veramente un peccato non imparare ad usarli bene tutti i giorni, anche sul merluzzo in tutte le sue espressioni culinarie, ma di questo, per non abusare oltre della pazienza di chi è arrivato a leggere fin qui, parleremo la prossima volta.

Renzo Ceccacci