Insalate sicure? Se la sicurezza è proporzionale alla professionalità degli operatori addetti, c’è poco da star tranquilli. A chi viene affidato l’incarico di preparare le verdure? Molto spesso (troppo spesso), in un ristorante, questo onere spetta al lavapiatti (denominato anche spesso “sguattero”). Nella ristorazione collettiva ci si affida all’ASM (Addetto Servizio Mensa), classificato come personale di bassa qualifica (e di bassa remunerazione). Ma in questo caso, ci possiamo magari avvalere del supporto di qualche macchina lavaverdure, collegata ad un sistema di erogazione di un sanificante. In Italia prevale tuttora qualche cloroderivato, mentre all’estero vengono preferiti l’ozono o il perossido d’idrogeno stabilizzato. Il bicarbonato di sodio non sembra essere quel prodotto miracoloso che molti credono: la ricerca di qualche riscontro scientifico ha portato a trovare esclusivamente lavori finanziati dal maggior produttore (e dunque di parte)! Siamo comunque pronti al confronto ed a cambiare idea di fronte a prove concrete. E per le insalate di IVa gamma (“quelle pronte all’uso del supermercato”)? Bisogna evidenziare i notevoli progressi fatti negli anni, anche grazie all’aumento della concorrenza tra i produttori. È fondamentale rispettare alcune precauzioni: La fase del lavaggio deve essere molto accurata ed è più efficace se fatta con acqua fredda, ovviamente potabile. Obbligatorio l’uso di qualche sanificante. La scelta della miscela, come per tutti i prodotti in atmosfera protettiva, deve essere “personalizzata”: con le insalate a foglia verde serve la presenza di una certa quantità di O2 mentre non è raccomandata con le insalate a foglia rossa. La soluzione proposta da molti venditori di gas tecnici, ovvero la classica miscela 70% N2 e 30% CO2 non affronta in modo serio il problema. È altresì vero che l’utilizzo di bombole separate dei gas con un miscelatore affidabile comporta dei costi di gestione giustificabili soltanto con quantitativi rilevanti. La catena del freddo deve essere scrupolosamente rispettata: dal lavaggio al trasporto, dallo stoccaggio all’esposizione. Attenzione all’effetto serra nelle vetrine/espositori refrigerati: l’impianto d’illuminazione può portare ad un aumento della temperatura nelle buste, con conseguente proliferazione batterica (batteri lattici in particolare, ma in caso di presenza di qualche patogeno…). Quanto possono durare (se adeguatamente gestite)? Lavorando come veri professionisti (e non da alchimisti) possiamo anche raggiungere 15 giorni di shelf life (“vita di scaffale”). Tale durata potrebbe apparire come sospetta al consumatore (“chissà quanti conservanti ci hanno aggiunto?”). Pertanto, tenendo anche conto dei possibili “intoppi” nella vita del prodotto, una settimana di vita commerciale, a busta integra, può essere ritenuta ragionevole. Ci si può così concentrare sui vantaggi derivanti: comodità d’uso, varietà (con indubbi risvolti sugli aspetti nutrizionali), riduzione dello spreco, … Però non è “plastic free”! È vero. Intanto evidenziamo che le buste sono riciclabili (dove esiste un sistema evoluto di raccolta differenziata). Questa è la vera sfida nel settore del packaging. Per il momento non siamo ancora di garantire “la moglie ubriaca e la botte piena”, perlomeno a costi ragionevoli.

Luigi Tonellato