L’ultima cena di Gesù è una fra le più diffuse rappresentazioni nella storia dell’arte. La descrizione dei Vangeli, i riferimenti storico-religiosi ed alcune scoperte archeologiche non hanno contribuito che ad aumentare il fascino oscuro e la ricerca di simboli ed interpretazioni degli artisti nei secoli. La tavola imbandita per i tredici commensali è divenuta oggetto di estro creativo, con aggiunta di vivande, presenza di stoviglie, arricchimenti consapevolmente legati sia al periodo in cui il pittore ha eseguito il quadro, sia alle mode del momento. Il cibo diviene raffigurazione metaforica dei simboli della Passione di Cristo. Il risultato di questa mancata rappresentazione filologica del cibo che realmente è stato consumato, è una sconfinata varietà di opere d’arte in cui le ciliegie diventano gocce di sangue, il gambero una rappresentazione del male (perché cammina al contrario rispetto a chi segue la diritta via), l’agnello diventa Gesù stesso, la metafora del sacrificio. Un po’ di esempi curiosi: in un mosaico della Chiesa di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna, risalente al 500 d.C sopra la tavola c’è un piatto con dei pesci. L’acronimo della parola greca corrispondente, significa Gesù Cristo figlio di Dio Salvatore, e nelle raffigurazioni paleocristiane è consuetudine diffusa rappresentare dei pesci. Duccio di Buoninsegna, pittore attivo tra il ‘200 e il ‘300 nella Pala della Maestà nel Museo dell’Opera del Duomo a Siena, dipinge un maialino arrosto al posto dell’agnello, entrambi assenti nella tavola di Gesù. Nella chiesa di San Giorgio a San Polo di Piave, Treviso, invece il pittore Giovanni di Francia raffigura dei gamberi di fiume che assieme al vino rosso costituivano un pasto diffuso nella zona che si estendeva dal Trentino al Friuli, passando per il Veneto; anche se numerose interpretazioni assegnavano al gambero, che una volta cotto era color cremisi, una valenza diabolica è più probabile che l’artista abbia messo in tavola un cibo diffuso nel suo tempo. Nell’ultima cena di Tiziano nel 1542 il vino rosso è versato in una tipica caraffa di vetro veneziana. Domenico Ghirlandaio che dipinge più affreschi con questo soggetto, inserisce in quello conservato al Museo del Cenacolo di Ognissanti, il melograno (e le rose rosse) per simboleggiare il sangue versato. Nel Cenacolo di San Marco arricchisce la tavola con ciliegie, formaggi, pane e frutta anche bottiglie di vetro per il vino, bicchieri, coltelli, coppe. Il Tintoretto nell’Ultima Cena conservata a Venezia nella Chiesa di San Giorgio Maggiore raffigura all’estremità della tavola, una torta con le candele. Alessandro Allore nel palazzo della Ragione a Bergamo imbandisce la tavola con un pasto vegetariano, copiando l’idea da dagli erbari della famiglia Medici. Nella chiesa di San Leonardo a Tesero, in Val di Fiemme, Gesù e i suoi discepoli cenano con il bretzel. Infine, Leonardo Da Vinci nel celeberrimo Cenacolo pone nella tavola l’arancia e le anguille. Il frutto che è stato introdotto in Europa durante il medioevo, è una pianta che si pensava crescesse nel Paradiso ma la scelta dell’anguilla non è ancora stata spiegata dagli storici dell’arte e apre la via a nuove, fantasiose interpretazioni.