Ghiottissimi di frumento, verdure e legumi, gli antichi romani sapevano preparare gustose minestre che costituivano il pezzo forte dell’alimentazione abituale dei ceti meno abbienti, in quanto il prezzo degli ingredienti era di gran lunga più basso e accessibile rispetto a quello di altri generi, come la carne e il pesce, che si trovavano di solito solo sulle tavole dei più ricchi. Minestre e zuppe a base di verdure, cereali e legumi venivano mangiate anche dalle classi sociali più elevate ma solo quando non si avevano ospiti in casa oppure quando si doveva consumare un pasto leggero e veloce. Grazie al contributo di scrittori antichi numerose ricette di tali pietanze ci sono pervenute come quella della Tisana, una minestra di farina d’orzo, cipolle, coriandolo, cumino e finocchietto, che era decisamente ipercalorica ma salutare, soprattutto rispetto ad altri piatti tipici della cucina romana; l’orzo veniva lasciato a mollo in acqua fredda per ventiquattro ore, poi vi si potevano aggiungere anche aromi, spezie e legumi. La ricetta proviene dal De re coquinaria di Apicio autore di un testo culinario destinato ad avere grande fortuna, anche se non era un ricettario nel senso moderno, rivolto ad appassionati e dilettanti, dato che nell’antichità i ricchi in generale non cucinavano, mentre i poveri, se andava bene, mangiavano fuori casa in cauponae e popinae. Il libro era quindi destinato a cuochi professionisti, ai quali l’autore fornisce trucchi e idee, ma non indica né quantità, né tempi, né procedure da eseguire. Anche la ricetta della minestra d’orzo con ceci, lenticchie, piselli, cavolo e finocchio, la Tisanam barricam, di origine etrusca e dal nome di significato oscuro, proviene da Apicio. Pur essendo tutte le sue ricette pensate per banchetti di ricchi, questa poteva ben adattarsi anche a tavole più modeste, come quelle di legionari, contadini o anche schiavi. L’insieme di legumi e orzo è infatti poco costoso ma molto nutriente. In particolare, i gladiatori consumavano tanto di questo cereale da essere chiamati hordenarii, cioè mangiatori d’orzo, appunto, come ricorda Plinio il Vecchio. Secondo il medico di Marco Aurelio Galeno tale dieta aveva lo svantaggio di far ingrassare. Ma per i gladiatori questo era anche un vantaggio, in quanto lo strato di grasso proteggeva dalle ferite e spesso salvava la vita. C’è da credere che questo effetto fosse voluto, anche perché, contrariamente a quanto si vede nei film, che un gladiatore morisse in arena era più l’eccezione che la regola e non certo per l’umanità degli impresari, i lanisti, quanto perché era un investimento costoso. L’uso di preparare minestre mescolando legumi e farinate è documentata anche da fonti letterarie. Orazio (Satire I 6, 115), ad esempio, parla di una minestra di ceci e porri accompagnata dal laganum, una sorta di pasta che doveva assomigliare alle moderne lagane, e veniva sbriciolato nella pietanza. Le fave, i piselli, i ceci, le lenticchie erano usatissime insieme a cipolle e granaglie ed anche le cicerchie, arrivate in Europa dall’Egitto, conosciute dai Romani con il nome di Cicerculae e dai Greci con il nome di Lathyroi, venivano utilizzate nelle minestre e nelle zuppe. Esistevano poi minestre chiamate concicla a base essenzialmente di legumi come ad esempio quelle di piselli forse più simili alle nostre zuppe. Un discorso a parte va fatto per la puls, una minestra densa fatta con semolino di farro ed ortaggi scelti a piacere, piatto tradizionale e simbolo della cucina romana tanto che i Romani erano definiti dai Greci “mangiatori di puls” (Plauto, Poenulus, 54). Ecco la ricetta tramandata da Catone (De agri cultura, 85) della Puls punica, ben nota ai Romani e conosciuta in tutto il Mediterraneo: “Cucinerai così la minestra alla Cartaginese: verserai in acqua 1 libbra di farina di farro e farai in modo che si impregni bene. La verserai in un recipiente pulito, dove aggiungerai 3 libbre di formaggio fresco, mezza libbra di miele, un uovo. Mescolerai tutto insieme per bene. Così lo metterai in una nuova pentola”. La tradizione storica ricorda che le lenticchie, ritenute estremamente prelibate, venivano anche servite nella minestra che veniva chiamata puls-lentis, da cui trae poi nome il pulmento, trasformato in polenta con l’arrivo del mais che sostituì il farro precedentemente utilizzato. Secondo alcuni studiosi anche un’antenata della minestra maritata della tradizione napoletana era presente nel menù degli antichi romani. Infatti, il gustoso misto di verdure e carni sarebbe stato il piatto forte anche di Apicio. Cicoria, scarole, verza, carne e gli “scagliuozzi”, le tipiche frittelle di farina di mais, sono gli ingredienti principali della ricetta tradizionale napoletana che sembra riprodurre quasi fedelmente la minestra di Apicio nella quale il mais era sostituito dal farro. L’aggettivo “maritata” si utilizza molto spesso in cucina, almeno a partire dal Cinquecento, per indicare quei piatti che riuniscono ingredienti diversissimi fra loro ma che si “sposano” perfettamente come nel caso della minestra napoletana, in cui carni e verdure creano un piatto unico, simbolo del Natale. Per concludere e per la gioia degli amanti delle minestre, ecco l’antica ricetta della Tisanam barricam di Apicio: “Ammolla ceci, lenticchie e piselli. Spezza dell’orzo e uniscilo ai legumi. Quando ha bollito bene, mettici abbastanza olio e sopra tagliaci il verde dei porri, del coriandolo, dell’aneto, del finocchio, della bietola, malva e cavolo tenero. Sminuzza queste verdure e mettile in una pentola. Lessa dei cavoli e trita abbastanza finemente dei semi di finocchi, dell’origano, del silfio, del ligustico. Una volta tritati, stemperali con il garum, gettali sopra i legumi e gira. Tagliaci sopra, a piccoli pezzi, dei cavoli”.

di Rosaria Ciardiello