Ogni tanto mi ritrovo piacevolmente con le gambe sotto al tavolo assaggiando dei meravigliosi funghi, che Francesca sa fare come Dio comanda, con alcuni miei amici ex compagni di scuola. Talmente gioviali che le serate riscuotono sempre grande successo anche per le differenti idee politiche, imprenditoriali, finanziarie e finanche religiose su cui inevitabilmente si fanno due chiacchiere. Ultimamente è ripresa più veemente del solito la diatriba: manager o familiari in azienda? Nel senso: è bene chiamare persone esterne all’azienda per dirigere la programmazione della produzione, la gestione della qualità e del marketing nonché la cura dell’intero processo di miglioramento e la massima efficienza delle persone e delle attrezzature? Le posizioni al riguardo sono alquanto difformi a seconda delle esperienze di ciascuno e perché ogni realtà presenta problematiche e contorni che solo chi ci vive dentro riesce immediatamente a cogliere. Certo a sentire i dirigenti miei amici, che hanno esercitato anche in realtà importanti e ne hanno tratto esperienze positive, il titolare dell’azienda deve essere come il presidente di una squadra di calcio che chiama l’allenatore giusto al momento giusto. Chi invece come me, e anticipo che non mi sento per niente un imprenditore, ha strutturato lo sviluppo della propria attività sulla crescita del personale interno, valorizzando le persone capaci che la fortuna ha fatto arrivare, giovani appena diplomati o appena laureati e, perché no, dando spazio ai figli, è ovviamente di tutt’altra idea. Sicuramente la mia visione è ristretta, circoscritta al cortile che ho davanti e forse, mi dicono, prendo in considerazione la realtà dal mio esclusivo punto di vista omettendo di osservare e valutare oggettivamente la situazione generale. Ma, mi domando, cosa succederebbe ai miei collaboratori, che mi hanno accompagnato all’attuale bella realtà, se mettessi come loro amministratore una persona estranea all’ambiente e che non hanno visto crescere al loro fianco? Sicuramente nel mio caso specifico si andrebbe verso un’involuzione piuttosto che verso uno sviluppo. Ho sempre presente quando, giovane di buone promesse e sempre attento a imparare qualsiasi cosa potesse servirmi nella vita, impiegato nell’azienda di mio fratello, ho visto arrivare questo manager dall’esterno con un curricolo da far invidia e dopo sei mesi letteralmente cacciato per i danni che stava producendo. Qualcuno può obiettare che la persona non fosse all’altezza o avesse bisogno di più tempo o che l’azienda non fosse pronta a “managerializzarsi”. Non entro nel merito, so solo che la ditta è ritornata con i fondatori a riprendere una corsa che ancora oggi, dopo quarantanni, non tende a fermarsi. Dopo qualche tempo ho avuto modo di rileggere il curricolo di quel Manager e mi ha colpito il fatto di vedere riportata in positivo l’esperienza conclusasi così poco decorosamente. Certo ci sono realtà che hanno fior fiore di dirigenti e vanno a gonfie vele. Ma allora come selezionare queste persone? Qui si apre un nuovo argomento che affronteremo in altra occasione. Da parte mia sono sempre del parere che se investi nel personale interno e crei un ambiente dove le buone intuizioni circolano generando capacità operative, organizzative e di collaborazione, riesci sempre a individuare fra tante quella persona che può ricoprire il ruolo chiave di Manager e di conseguenza riporre su di lei le tue aspettative. Meglio se questa rientra nella cerchia familiare perché c’è un’altra cosa da dire:i manager puri sono un po’ ossessionati dai risultati di breve periodo, mentre la cultura d’impresa del family business guarda al lungo termine. Cosa dite?

Nereo Marzaro