Lo consideriamo proprio stupido questo contadino che coltiva il pero, raccoglie il frutto ma non deve far sapere quanto sono buone le pere con il formaggio? Di pere ce ne sono migliaia di varietà tutte ricche di vitamine, sali minerali, zuccheri, e diverse per forme, colori, caratteristiche, stagionalità, durezza, astringenza, aromi, sapori, consistenze. Hanno inesauribili nomignoli e diminutivi, aggettivi, infinita produttività, legano il loro lontano passato con consuetudini alimentari, col territorio. Sono via via scomparse, recuperate, dimenticate o faticosamente e soltanto marginalmente recuperate. Ho letto in un volume sui prodotti della Valmarecchia, romagnola, alcuni nomi delle pere che mi sono rimasti impressi: pera Madonna, del calibro di un grosso mirtillo. La mangiano gli uccellini e non si conserva se non, come un tempo, essiccata per il consumo invernale dei bambini in casa. C’è anche la pera bischera, una definizione quasi toscana! La pera volpina, selvatica, deve il nome al suo colore, simile a quello della volpe e si mangia solo cotta. Indovinate a cosa si fa risalire il nome delle pere poppine? E non è neanche una novità: ricordate la canzone di diversi anni fa che cantava: Tu hai le poppe a pera? E l’aggancio fra la femminilità e la pera continua. Esiste una qualità di pera, notissima in Toscana, chiamata la pera coscia. Oltre alla difficoltà ad essere consumata al giusto grado di maturazione (va conservata a temperatura ambiente finché si riconosce che è giunto il momento migliore saggiando il profumo e la consistenza della polpa) è che la pera si ammacca con facilità ed ha la buccia più secca di quella della mela. Al fine di mantenerne il profumo a volte si acquistano pere che hanno la ceralacca sul picciolo: ha la funzione di un tappo per trattenere, oltre al profumo, anche la sua naturale umidità. Il grande numero di varietà nella frutticoltura, si originò dal 1770 quando il sig. Williams ottenne da una pianta madre a cui fu dato un seme nuovo, quella pera che, universalmente, fu chiamata Williams in suo onore e che è fra le più consumate. Qualche decennio dopo, nella vicina Francia si ottiene la “decana”, pera dalla buccia color verde giallastro cosparsa di macchie di ruggine. Matura fra ottobre e novembre ed ha un elevato tono zuccherino e profumo. Un altro francese, l’Abate Fétel, sempre nella seconda metà dell’Ottocento, produce un cultivar da cui si ottiene quella pera che origina dal suo nome: la pera Abate, dalla polpa bianca, fondente, succosa. Famosissima è anche la passa crassana che deve il nome ad una località francese Crassane e sembra indicare il passaggio da un confine. Una delle per più conosciute e coltivate è la Kaiser (o Imperatore) che, nonostante il nome, è anch’essa di origine francese. È di color ruggine/bronzo ed è il frutto di una pianta di elevato vigore, che raggiunge i 20 metri e che è coltivata principalmente in Emilia Romagna ed in Veneto. Oltre che alla trasformazione in succhi di frutta e “conserve alimentari” (pere allo sciroppo, marmellate e gelatine, pere candite ed essiccate) le pere sono componenti della classica “mostarda” nella quale sono aromatizzati con senape. Sono impiegati frutti di taglia piccola che vengono colorati di rosso o di verde e sono adatti come contorno di bolliti misti o di arrosti. E poi c’è la pasticceria e le pere diventano crostate, flan, “pie”, e delicati dolci al cucchiaio.