Alle scorse Olimpiadi 2012 di Erfurt in Germania, ebbi modo di imbattermi nell’ amico “Berto” Tomasi in veste di concorrente per la categoria artistica. Nella cucina delle Nazioni, per il concorso caldo, vidi anche Gianluca e suo figlio Marco, entrambi con la giacca della NIC: praticamente
erano presenti gli uomini dell’ intera famiglia Tomasi, tre generazioni di cuochi. La stessa cosa si ripropose in occasione degli Internazionali d’ Italia 2013 a Marina di Massa: il buon “Berto”, prima generazione, primo ad intraprendere il mestiere di cuoco e colui che lo ha “trasmesso” al figlio Gianluca, seconda generazione, ex Team Chef della NIC di Tacchella e padre del giovane Marco, terza generazione, promettente cultore dei “vizzi” di
famiglia. E’ ammirevole in loro la dedizione e la passione per questo duro lavoro pieno di sacrifici e soprattutto il non aver osteggiato, sulla scia emotiva di giustificata protezione di genitore, le prospettive e le ambizioni lavorative dei rispettivi figli. In considerazione ai percorsi professionali dei
Tomasi, penso a quanto è contradditoria e articolata la nostra “società”, facendomi rammentare un articolo letto del giornalista televisivo Toni Capuozzo. Questo citava la denuncia di intere categorie della carenza di giovani nell’avviamento della loro professione, dai panificatori ai falegnami, dagli idraulici ai muratori, ed altre ancora. Fin qui la notizia, che è tale, non fosse altro per il fatto che siamo in tempi di grandissima disoccupazione giovanile e che si attesta oltre il 40% nella fascia di età che va dai 14 ai 24 anni. C’è evidentemente una gioventù che ha altre aspettative, che fatica a considerare il lavoro pesante, e di sacrificio, come un percorso obbligato per approdare all’età adulta, sognando magari di fare la vita di certi calciatori strapagati o l’“inquilino televisivo” del Grande Fratello. Ci sono comunque anche, semplicemente, schiere di giovani che studiano, con legittime ambizioni per acquisire quel “pezzo di carta” che rappresenta sempre il sogno di tanti genitori, e che era per loro (un tempo passato) l’unico “ascensore” reale di mobilità sociale. Comunque, come è giusto che sia, il diritto allo studio più qualificato ed elevato (l’università) c’è e deve esserci
per tutti, e non solo come non molti anni fa, per pochi eletti di famiglie benestanti. Purtroppo rimane il problema del distacco dalla realtà e dal lavoro manuale: ci siamo illusi forse che si potesse costruire un Paese di soli dottori, dimenticando che anche una società a tecnologia avanzata ha pur sempre bisogno di qualcuno che sappia usare le mani per andare avanti. Stiamo diventato una società strana, con più vecchi che giovani, con tanti laureati a carico delle famiglie e tanti lavori che nessuno più vuole fare. Il mestiere del cuoco è bello, ma dietro si nasconde tanto sacrificio, dedizione,
rinunce personali, orari lavorativi abnormi, una vita mutilata di congrue affettività e normali rapporti con i propri cari. E’ lodevole e bello, quindi, per l’ intera categoria delle berrette bianche vedere tanti giovani intraprendere questo percorso lavorativo, come la famiglia Tomasi (tre generazioni), abbracciare la stessa professione, trasmettendosi passione e “coraggio” per affrontarla.