La possibilità di consumare, in fascia preserale, bevande alcoliche a prezzi ribassati o con promozioni che regalano una consumazione per ogni altra acquistata, in Italia è ormai una realtà consolidata da più di una ventina di anni. Se, a prima vista, può apparire una occasione da non perdere, nel tempo sono stati rilevati una serie di problemi. In primis il problema del “binge drinking”, ovvero l’assunzione di grandi quantità di alcol nel breve periodo, per ottimizzare la promozione, trasforma la logica dal “pago la metà” a “bevo il doppio”. Logica che, per una questione di cassa, degenera inevitabilmente nel calo della qualità. E via, quindi, con i cocktail a basso costo, ma anche di infima qualità, sia nelle materie prime che nella lavorazione e nel servizio. Ad accentuare la spirale discendente del fenomeno, si è aggiunto il tentativo di compensare l’eccessiva assunzione di alcolici in poco tempo con la messa a disposizione dei consumatori – spesso gratuitamente – di cibi solidi, compensando così l’aumento dei costi con materie prime di fascia bassa. È tuttavia innegabile che questo fenomeno abbia avuto un importante appeal sulla popolazione dei consumatori, soprattutto fra i più giovani, tanto che, già da decenni, i legislatori di vari stati hanno emanato leggi per contenere il fenomeno, riducendo la possibilità di applicare promozioni ad un numero limitato di ore nella giornata (USA), o vietando totalmente l’happy hour come nel Regno Unito ed in Irlanda. Se la strategia di vendita, tuttavia, tende ad incentivare il consumo e quindi la frequentazione dei locali nelle prime ore della serata, è evidente che esiste una importante fascia di pubblico che genera una domanda per il settore. Come soddisfare allora la domanda senza cadere nel circolo vizioso del “contengo i costi e quindi abbasso la qualità”? La risposta semplice sarebbe educare la clientela che non sempre “di più è meglio” e che esiste un prezzo corretto per ogni cosa.  E che quindi è possibile godere di un momento più o meno tranquillo, a fine giornata, dove mangiare e bere qualcosa, pagando un prezzo equo, rimanendo soddisfatti del prodotto ed eventualmente con la voglia di ordinarne un altro. Dalle tapas spagnole ai “cicheti” veneti, ai finger-food di ultimissima generazione passando magari per le crudità di mare, è possibile proporre molteplici offerte mantenendo una qualità più che sufficiente, appagando il gusto della clientela e garantendo, allo stesso tempo, un discreto margine all’esercente. E per non pesare troppo sulle tasche del cliente, anziché le nobili bollicine di un Metodo Classico, dal passato si può ripescare la tradizione di un bel bicchiere di vino bianco, frizzante o fermo a seconda delle zone di provenienza, “allungato” con una spruzzata di acqua frizzante, per allentare il tenore alcoolico e rinfrescare il tutto. Che lo si chiami Pirlo se siete a Brescia, Bianchin se l’aperitivo è al Duomo, o Spruzzato se all’ombra della Mole, il concetto rimane lo stesso: corretto con la nota amarognola di un liquore locale, quali gli oramai celebri Aperol Barbieri dal Veneto e Campari da Milano, diventa l’ormai celeberrimo Spritz. Nelle rielaborazioni contemporanee emergono nuovi volti per la nota amaricate, fra cui non si possono non citare dall’astigiano le note agrumate di Perù di Beccaris e il retrogusto deciso di rabarbaro e genziana del Bitter 958 di Santero.