Perché vediamo il mondo a colori? Per un gioco perverso tra il nostro cervello e i nostri occhi. Gli oggetti riflettono la luce tramite onde magnetiche che stimolano i ricettori della retina e inviano al nostro cervello la percezione del colore. Noi vediamo la stessa tinta in sfumature differenti in base all’esposizione alla luce, alla variazione del tempo, alle condizioni meteorologiche. In una giornata soleggiante dominano le tinte rosse, quando è nuvoloso o nebbioso dominano quelle bluastre e le immagini, come sapranno gli appassionati di fotografia e di cinema, tendono a virare verso quelle sfumature. La causa è la temperatura della luce che l’uomo percepisce con la variazione cromatica degli oggetti e del paesaggio. Ma per il regista e il fotografo rappresenta un difetto, perché le macchine non riescono a bilanciare la variazione, a differenza del nostro occhio. Per questo prima di una ripresa viene fatto il bilanciamento del bianco, ossia un passaggio che permette di ottenere una luce neutra e rende le riprese più stabili ed efficaci anche se le condizioni climatiche o di luce cambiano. Quando eravamo piccoli ci dicevano che il nero assorbe tutta la luce, il bianco la riflette. È vero, ma in realtà alle spalle c’è un mondo di chimica e fisica su colori, luce e spettro luminoso che sta ancora evolvendo. Nei nostri piatti primaverili domina il verde. Frutta e verdura di colore verde devono la loro nuance alla clorofilla, che assorbe i rossi e blu per riflettere proprio le tonalità del verde. È una delle tinte più amate: è il colore della natura, della spontaneità, della rinascita…della speranza. È curioso come nell’arte antica fosse un pigmento poco utilizzato. Mentre il nero si poteva ricavare da sostanze carboniose, il rosso da terra e cocciniglie, il verde sembra quasi non fosse tenuto in considerazione. Probabilmente non si riusciva a trovare una soluzione che si mantenesse sui supporti e che non virasse. I Greci, ad esempio, non avevano un vocabolo per il verde. Erano concentrati sulla opacità e trasparenza e sebbene dipingessero i templi e statue con colori sgargianti, non erano molto concentrati sulle sfumature. Il filosofo Democrito diceva che il verde “cloro” si otteneva mescolando il rosso e il bianco, ma i vocaboli per indicare il rosso spesso venivano conditi con gli stessi per verde e blu. Molti pigmenti non si mantenevano sui supporti, oppure viravano e ci furono secoli di sperimentazione. I pigmenti per dipingere si ottenevano anche con la macinazione dei metalli: Plinio ci informa che la Crysocolla era un verde ottenuto dalla malachite, c’era un verde che si ricavava da aceto e rame, e quello del ferro che si ossida. Fino alla produzione dei primi colori sintetici i pigmenti erano naturali, ma poche sfumature avevano un nome. Adesso le conosciamo…

Cristina Mocci