Fare l’imprenditore non dico sia una missione, non credo lo sia nemmeno fare il medico. Ritengo missionario solo chi ha avuto la grazia di essere scelto da chi è sopra di noi, sopra di tutto. In questo periodo di difficoltà (pur essendo realista, non mi piace chiamarla crisi) noi imprenditori siamo forse i più criticati, i più presi di mira. Poco tempo fa un noto politico ha sbraitato dal suo palco: imprenditori, è ora che anche voi facciate la vostra parte. Peccato che il 100% (-1) di quelli della sua categoria, d’impresa, nel vero senso della parola, non sanno nemmeno dove cercare la parola nel vocabolario. Un noto sindacalista sempre dal suo palco sbraitava, assieme alle solite menate di routine che solo in Italia si trascinano da più di un secolo, “l’Italia sta affondando, ma noi (noi chi?) non lo permetteremo.” E si potrebbe continuare, da vari altri palchi come a una che a 5 stelle il concetto è sempre quello. Nessuno sa cosa vuol dire fare impresa (o che lo sappiano forse anche troppo?). Fare impresa è gestire persone, mezzi, capitali con una bella dose di rischio in ogni ambito. Io restringo ancor più il campo focalizzandolo sulla fascia manifatturiera e, nel Veneto come in altre regioni italiane, questa realtà ha dei dati unici al mondo. Qui, le famiglie negli anni sessanta sono cresciute con le imprese, i capannoni sono sorti accanto alle case occupando spesso (ahimè per certi versi) la vecchia stalla, portando ricchezza e benessere a tutti! Male quindi ignorare il sentire sotterraneo che ha reso comunità insofferenti verso gli insediamenti produttivi o i servizi (strade, ferrovie, ponti…) che ne fanno da contorno. Alle volte, si sbaglia di grosso, si dà per scontato il lavoro, il benessere, la qualità della vita, che solo l’impresa può dare. Alle volte chi fomenta questo malessere è ancora fermo a imprese di 100 anni fa. Oggi, nella quasi totalità, la cultura gestionale ha interiorizzato una nuova filosofia fatta di sensibilità ambientale, di relazioni strette con il territorio, di grande attenzione a salute e sicurezza. Certamente ancor più vero in un’industria come la nostra (intesa del nord-est e italiana in generale) leggera e non invasiva, di piccola e media dimensione. Colgo pochi commenti di apprezzamento alla tenacia di chi ha rischiato in proprio generando sviluppo e lavoro per molti. La prima mia attuale osservazione è quindi che l’industria non è un male necessario ma un corpo dinamico nella società, che crea ricchezza e la ridistribuisce. Penso altresì che la deindustrializzazione sarebbe un danno collettivo e quindi l’industria va sostenuta nello sforzo di essere competitiva, integrando quanto chiede il mercato con il rispetto del sociale e dell’ambiente. In una riunione in Confartigianato nella Marca Trevigiana, sciorinando dei dati interessanti sulla propensione all’impresa degli italiani a paragone degli altri paesi europei, ci vediamo di gran lunga più attivi. Ma oggi, continua la relazione, “bisogna essere degli incoscienti per voler diventare imprenditori” in Italia! Di questi tempi, nella produzione industriale non si avventura nessuno. Vediamo la luce in fondo al tunnel? Qui di luce oramai non si vede né quella di uscita né più quella da dove siamo entrati! Ma a tutti voi cari lettori, vorrei chiedere nel vostro paese, comunità, comprensorio, categoria… viene punito più l’insuccesso di quanto non venga premiato il successo? Sì – sì – sì è la risposta! Ma vi sembra un modo di ragionare! E di questo periodo buio, le cause sono sotto gli occhi di tutti. C’è chi porta come scusa di alcuni insuccessi o di freni a investimenti la paura gialla. Ma dico io, chi ha paura dei cinesi? Ma quali cinesi! I nostri competitor, quelli che ci ammazzano con la concorrenza sleale e con i prezzi bassi, noi ce li mangiamo!!! La nostra vera spina nel fianco sono il fardello burocratico, il pesante e costoso sistema Italia che grazie a sprechi, noncuranza, allegra gestione, si brucia le nostre risorse e ci manda a competere nei mercati internazionali con la palla al piede di strutture che non funzionano e tassazioni che appesantiscono i nostri costi fuori da ogni sensata proporzione. Ultimamente poi ci si mettono anche le banche, sempre più palesemente “longa mano” delle lobby che già presidiano la burocrazia statale e gli apparati politici. Oggi più che mai il balletto tra politica e banche (ma dove è andata a finire la raccolta avvenuta con l’IMU?) diventa un ballo lento che ci avvinghia in una morbosa macabra danza. In Italia abbiamo una legge che vieta lo strozzinaggio all’infuori di quello “legale!” delle banche. Ma quanti istituti di credito bancari in Italia si possono ancora chiamare tali? Ritornando all’imprenditore, dopo decenni di inculcamento comunista dove gli imprenditori per definizione di Marx sono sempre stati considerati come degli sfruttatori, evasori per forza e opulenti per etichetta, è ora di cambiare registro e rendersi sempre più conto che il problema grosso arriva proprio da chi si è erto a paladino dei cittadini creando dei finti nemici da combattere. Proprio coloro che si ergevano a paladini oggi si dimostrano esosi, ingordi, incapaci di creare valore aggiunto, servizi, utilità per il paese. Mi sono, forse, disordinatamente sfogato. Ora non mi resta, come al solito e come da insegnamento del mio grande fratello, di prendere la vecchia e amica borsa di lavoro e correre, correre sempre di più in cerca di mercati sapendo che, ad aiutarti, c’è solo chi ti è vicino familiarmente.

di Nereo Marzaro