Nella moda è da tempo diffuso questo modo di essere: si appare eleganti portando una borsetta che sembra Vuitton, sembra Prada, sembra Fendi, così per gli occhiali, così per i profumi, le magliette con la insopportabile scritta gigantesca “Dolce e Gabbana” o D&G e quant’altro…..
Basta girare per la città e si troveranno su marciapiedi, sotto portici, nei viali, legioni di venditori “dell’apparire” e le stesse case di produzione, e ora anche la legge, hanno accettato questo mercato che permette di possedere e mostrare ciò che non è… Ed anche il mondo delle cassette pirata, audio o video, è in fondo un modo di apparire avendo qualcosa che proviene dall’originale ma non lo è. E in gastronomia questo avviene e se sì, in che misura?
Più di quanto non si pensi: tutto il lardo di Colonnata che circola (e che Colonnata non sa neanche dov’è) è, in fondo, un apparire e della stessa natura è quel cacciucco surgelato che un bravo attore pubblicizzava non molto tempo fa, cucchiaio di legno in mano. È apparire quello dell’aceto balsamico che si trova ormai ovunque ed è ovunque usato, anche in modo “sgraziato”, perché fa tendenza! In realtà l’aceto, per essere balsamico, deve avere nella sua dicitura l’aggettivo tradizionale, altrimenti è, nel migliore dei casi, aceto di vino con aggiunta di caramello e non nasce da quel mosto cotto che ne è l’origine. Idem dicasi per l’uovo di lompo, succedaneo del caviale , derivante da un pesce che vive nelle fredde acque del Nord e non è presente nel
Mediterraneo. Peggio ancora quando l’apparire cela procedimenti di produzione che nulla hanno a che vedere con quanto ci si attende: è utilizzata, ad esempio, per il salmone da “battaglia”, un’affumicatura non secondo tradizione, ma con un’immersione in un liquido che attribuisce questo sapore di affumicato ( fra l’altro, evitando l’asciugatura della carne con il vantaggio di fornire carne praticamente fresca e più pesante per maggior guadagno!). Il tartufo? Sarebbe come comprare un diamante e scoprire che è un vetro o un quadro e vedersi consegnare una copia in sordina – ha scritto l’accademico bolognese Giancarlo Roversi – si sta compiendo una speculazione veramente grande su questo fungo ipogeo di cui l’Italia è regina. Sta arrivando la stagione in cui la “trifula” sarà nei ristoranti e godremo di piatti con l’ineguagliabile profumo di una affettatina su due uova o su tagliatelle in bianco. Ma, tornando a noi, esiste, l’apparire del tartufo e non l’essere? Purtroppo sì: premesso che arrivano ogni anno in Italia oltre 40 tonnellate di “pseudotartufi” (il nome esatto è “tarfezie”), dalla ex Jugoslavia, dalla Cina, dal Marocco e dai Paesi della costa africana del Mediterraneo, tartufi che quasi nulla hanno a che vedere coi nostri, pregiati e dall’inconfondibile profumo, come si possono rendere appetibili e paragonabili ai nostri? La somiglianza, all’aspetto, con il vero tartufo è caratteristica comune (ci vorrebbe un occhio esperto per vederne la differenza nella carne) ciò che li differenzia è l’ineguagliabile sapore e profumo del tartufo autentico da queste copie commerciali praticamente inodori. Cosa si fa, bisogna, allora, sofisticare, insaporendo o gassificando gli pseudo-tartufi con una sostanza prodotta in laboratorio (il Bismetilthyometano), per avvicinarsi il più possibile a questa stupenda rarità autunnale. Dunque, un derivato degli idrocarburi, cioè del petrolio, avete ben compreso, prodotto
da una ditta con un sistema brevettato. Da molti anni, viene utilizzato per creme, paste, salse, formaggi, tutti aromatizzati al “tartufo” e, soprattutto, per l’olio, oltre ad essere anche utilizzato per profumare il pseudotartufo “manchevole” di suo….È nocivo alla salute? È irritante? Onestamente le quantità usate sono limitatissime e non incidono negativamente sulla salute ma è, come dicevamo, un.. apparire, invece che essere.
Insomma è un imbroglio….