In base al principio che più un articolo è raro e costoso più è redditizio truffare il consumatore, sui prodotti di lusso si scatenano le perverse fantasie dei gastro-furbi. Come nel caso del Tartufo Bianco, il re incontrastato della mensa, il più prezioso, raro, desiderato e profumato frutto della terra.
Truffe, in lingua italiana significa “raggiri” ma in francese la stessa parola indica il soave tubero. Il significato di frode è collegato alla rappresentazione teatrale del “Tartufo” di Molière (1664) in cui il protagonista si avvale dell’ipocrisia per raggiungere i suoi scopi. Ma il Tartufo gastronomico non è affatto ipocrita e impostore come quello letterario. Anzi, brilla per sincerità, trasparenza e lealtà almeno fino a quando non entra nelle mire dei disonesti e dei criminali. Lui, l’ineffabile Tartufo Bianco (Tuber magnatum Pico) è prodotto esclusivo della natura d’Italia. I francesi si logorano d’invidia a non poterne vantare l’esclusività. Sostengono che “puzzi” di aglio (proprio loro che sull’aglio hanno costruito una cucina…) salvo poi farne scorpacciate e incetta ogni volta che vengono in Italia. Perché per loro esiste solo il “Diamant Noir”, discreto vezzeggiativo che affibbiano al “loro” Truffes du Périgord (Tuber melanosporum) che però comprano in Italia dove più modestamente si chiama “Tartufo Nero di Norcia” (anche se è diffuso in tutta la zona appenninica, dall’Emilia alla Calabria). Seri colleghi d’oltralpe mi assicurano che la Francia ne importa persino l’acqua di cottura in bottiglia. Dai “truffes” francesi alle truffe italiane, il passo in termini di dizionari è breve. Ed ecco sui mercati nazionali alcuni Tartufi neri immaturi candeggiati, aromatizzati artificialmente e venduti come Tartufi bianchi pregiati d’Alba che fruttano al truffatore un guadagno di 300 volte il costo. Di 400 volte è il ricarico applicato sui “Tartufi” comprati in Cina come mangime per i cani e venduti in Italia come Tartufo nero di Norcia. Si accontentano solo di un misero 10.000 x 100 di guadagno quelli che vendono un olio d’oliva – ma potrebbe essere anche di qualsiasi altra cosa – a cui
un aroma artificiale conferisce effluvi di Tartufo pregiato. Il merito del miracolo dell’olio al Tartufo va ad un idrocarburo, il bismetiltiometano, notoriamente tossico ma più stabile e molto meno costoso rispetto al Tartufo naturale o ai suoi estratti. E qui entra in ballo la negligenza (?) del legislatore che ha fatto – e non ha intenzione di correggerla – una legge che consente di utilizzare sulle etichette la dicitura “aroma di tartufo” anche se il prodotto usato proviene da sintesi chimica. Insomma, molti oli, burri, formaggi, creme, salse “al tartufo” sono impunemente autorizzati ad ingannare chi non ha naso e palato preparati a sufficienza. È bello sapere come ci considerano i nostri rappresentanti politici!
Torniamo agli equivoci. Gli antichi non sapevano mettersi d’accordo se fosse una pianta o un animale. E l’ambiguità continua nel nome. Il mondo conosce il bianco come “Tartufo d’Alba”, tuttavia il Tuber Magnatum Pico è gloria e vanto non solo di Langa e Monferrato ma anche di molte altre zone d’Italia, dalle Marche alla Calabria, dalla Toscana all’Irpinia e alla Romagna. Anche il nome latino non è un grande esempio di chiarezza linguistica: “Tuber” per noi è sinonimo di patata e suona un po’ riduttivo ricondurre alle patate quello che è invece un fungo ipogeo, che nasce cioè sottoterra… Potrebbe anche suonare cafone il termine “Magnatum” che non è il participio passato del verbo romanesco “magnare” ma la corretta forma latina per dire “dei ricchi e dei magnati”. Sul gusto non esistono dilemmi: o piace, oppure (purtroppo) no! Nel XIII secolo era usanza di chiamare i Tartufi “terrae tufolae” (gobbe della terra) perché maturando e ingrossando sollevano un po’ il terreno. Dal quattrocentesco “tartuffole” discenderà Tartufo in italiano, “trifola” in piemontese, “truffle” in inglese e “truffe” in francese. All’epoca di Re Sole i Tartufi bianchi servivano a corrompere i potenti della corte di Versaillles e tale rimarrà il loro uso per ingraziarsi anche altri sovrani come Luigi XV e Maria Teresa d’Austria. Nel 1826 il Conte Villèle si comprò la carica di Ministro con regalìe di Tartufi a senatori e deputati: da qui nacque l’espressione “ministero tartufato”. D’altra parte Tartufi (saprofiti) e politici (parassiti) sembrano fatti l’uno per gli altri e traggono da altri organismi le sostanze necessarie al loro sviluppo. L’attrazione umana verso il Tartufo è dovuta a composti steroidei (delta-16-steroidi) e a ormoni simili a quelli sessuali (5-alfa androst-16-
cn-3-alfa-olo) secreti tanto dalle ghiandole salivari dei maiali (eccellenti cercatori di tartufi) quanto da quelle ascellari dell’uomo. Pare che la semplice inalazione di questi profumi muschiati scateni un maggior interesse verso il sesso opposto. Ciò potrebbe spiegare l’attribuzione di virtù afrodisiache
al Tartufo. Anche se a me piace pensare che a predisporre al piacere del sesso dopo una scorpacciata di Tartufi bianchi in un romantico tête-à-tête contribuisca molto di più la disinibizione dovuta all’appagamento sensoriale e al fascino della preziosità. E se non fossero realmente afrodisiaci
aiutano a rendere le donne più tenere e gli uomini più amabili.