È divertente e sorprendente trovare nei momenti quotidiani dei grandi personaggi, anneddoti meno conosciuti dove non sono protagonisti spartiti, imprese, scoperte, viaggi e libri, ma il cibo, quello che li ha certamente resi meno celebri ma che ne ha evidenziato sconosciute predilezioni, gusti, vizietti a tavola. Da semplici amatori o addirittura da esigenti gourmet. Riprendendo da una pièce teatrale (sulle scene Sergio il cliente e Gino il cameriere) riportiamo un aneddoto gustoso citato dal grande pianista Rubinstein a proposito di Enrico Caruso, tenore dal palato sopraffino, ottimo cuoco, eccellente forchetta e grande divoratore di spaghetti. Quando Caruso entrava in un ristorante italo-americano, tutti i presenti si voltavano verso il suo tavolo per osservare con curiosità in che modo avrebbe mangiato gli spaghetti: Con la forchetta? Tenendola con la mano destra o con la sinistra? Li avrebbe avvoltolati? E come avrebbe tagliato gli spaghetti pendenti? Col coltello, col cucchiaio o con i denti?

Una sera Caruso, esasperato da tutti quegli sguardi s’infuriò, gettò la forchetta sul piatto, prese una manciata di spaghetti al pomodoro e se la ficcò nella bocca spalancata, macchiandosi faccia, cravatta e vestito!

GINO: (affacciandosi) Professo’, ho messo la napoletana sul fuoco… lo gradite un caffè “vero”?

SERGIO: Grazie Gino, non ci mettete lo zucchero per favore
GINO: (da fuori) Tenite ‘o diabbete?
SERGIO: No. Ma se è un vero caffè napoletano perché rovinarlo con lo zucchero.
GINO: (uscendo con la guantiera) E bravo ‘o professore! Eccovi un vero caffè napoletano… come diceva il poeta: (ispirato) “Il caffè, per esser buono, deve essere nero come la notte, intenso come l’amore e caldo come l’inferno”… Credo fosse Leopardi..
SERGIO: No, no… Lui avrebbe detto “dolce come l’amore” …amava solo le cose dolci, anzi dolcissime. Nel caffè non metteva mai meno di 5 cucchiaini di zucchero, s’abboffava di confetti e di gelati…

SERGIO: Leopardi arrivò a Napoli per la prima volta nel giugno del 1833. E assaggiò per la prima volta la pasta con la “pummarola ‘ncoppa”, non gli piacque, la definì un simbolo di stupidità.

GINO: Stu’ fetiente!
SERGIO: Non la volle più mangiare, nemmeno quando tornò a Napoli nel 1837 dove morì tra le braccia del suo amante
GINO: Ah… è morto a Napoli? Schifava gli spaghetti e le donne? Dio esiste!

Cristina Mocci