Vi è mai capitato di passare mezz’ora del vostro tempo in una “vera” macelleria aspettando di essere serviti da un macellaio “vecchio-stile”, uno di quegli uomini rubizzi e monumentali con le mani grandi come vanghe? Uno che maneggia coltello, trinciante e mannaia per disossare, spolpare, spezzare, battere e tritare, che affetta lombi e sfoglia ventresche con regale solennità? Insomma, un macellaio competente ed esperto, di cotture? Come dite? Non conoscete nessuno che risponda a queste caratteristiche? Peccato, perché in Italia ce ne sono ancora, soprattutto nei piccoli centri dove la carne si compra dal macellaio e non dal “macelladro”, la frutta dal fruttivendolo anziché dal “furtivendolo”, il pesce in pescheria e non al banco surgelati e dove il pane quotidiano esce da forni che lavorano oneste farine e non impasti refrigerati fatti chissacòme in paesi lontani. Certo, il supermercato rende semplice la vita a chi ha poco tempo, ai pigri ma anche ai gastro-babbei. Soprattutto per le carni: pre-tagliate, pre-sgrassate, prezzate, datate, quasi tutte ammorbidite con tenerizzatori ad aghi o con enzimi (papaina, bromelina, ficina) di cui la legge non richiede la menzione in etichetta. Al banco carne di questi monumenti al consumismo del tutto-e-subito non esiste né l’imbarazzo di chiedere né quello di manifestare il proprio analfabetismo gastronomico: si guarda il colore e la quantità di grasso oltre il film plastico e si butta nel carrello. Nessun altro senso oltre alla vista è chiamato a dare un giudizio sulla carne. Sarà tenera? Avrà un profumo gradevole? Sarà stata tagliata come Dio comanda? Sarà frollata a sufficienza? L’arte del macellaio nel mettere i tagli in mostra dipende dalla sua capacità di conversare con le carni per carpirne natura e vocazione; e con la carne di qualità i macellai per bene hanno un linguaggio di ammiccamenti e intese in punta di coltello da cui scaturiscono lombate da griglia o costate da piastra, campanelli per brasati e scamone per arrosto, noce per umido, scaloppine di sottofesa, filetti da griglia e poi frattaglie, ossa, nervetti… Una codificata, antica e nobile teoria di sezionature precise, funzionali e perfette, frutto di profonda conoscenza anatomica di ogni animale, di istintiva capacità di giudizio per struttura e consistenza dei vari tagli. Ahimè, i macellai odierni – soprattutto quelli “di città” – sembrano in genere poco dotati di competenza specifica sulla carne. Danno l’impressione di essere attenti più alla quantità degli incassi che alla qualità dei prodotti. Si sono trasformati in esercenti di gastronomia, cuochi, venditori di “specialità alimentari ad alto contenuto di servizio”, come polpette condite, misteriosi involtini, fettine già panate, spiedini pronti, roastbeef all’inglese, galantine, insalate di carne, sughi pronti. Quelli più “evoluti” propongono anche contorni di verdure, crêpes, lasagne al forno, vini, birre, cocacola, tramezzini e Alka-Seltzer! Dal che si capisce che il consumatore più ambito da questi signori è quello giudicato così grullo da non saper panare una bistecca o infilzare due pezzi di carne e una foglia d’alloro su uno stecchino. L’apparente caos che regna in un macinato di carni miste autorizza anche oggi più di qualche macellaio a dare libero sfogo ai fondi di magazzino, ai ritagli e talvolta anche agli scarti del banco. Forse è il caso di sottolineare la differenza tra alcuni falsi sinonimi come tritare, macinare, triturare e stracciare la carne. Si trita col coltello; si macina con strumenti che spingono le carni verso un estrusore provvisto di lame, si tritura con lame rotanti a bassa velocità; si straccia con lame rotanti ad alta velocità. Inutile dire che un trito a punta di coltello è quello che rispetta maggiormente struttura e integrità delle carni (l’unico sistema ammesso per la “tartara”). Il macinato è idoneo per ragù o hamburger mentre la carne per polpette e ripieni può anche essere triturata a bassa velocità. La poltiglia che risulta dai robot casalinghi che millantano miracoli anche sulle carni è indegna anche del pastone per il pollaio! È importante ricordare che esiste una netta distinzione tra i tipi di “macinato” presenti nei banchi frigoriferi. La “macinata scelta” o “sceltissima” dovrebbe essere ottenuta utilizzando solo parti iniziali o finali di tagli di prima scelta (coscia e lombata, adatti a cotture rapide), il cui diametro o spessore è insufficiente a ricavarne braciole, tranci o fettine. La scarsità di grasso e di tessuto connettivo rende questi macinati adatti al confezionamento di steak-tartare o di hamburger. La “macinata da sugo” dovrebbe essere prodotta da tagli interi del quarto anteriore (petto, reale, spalla e pancia) generalmente impiegati in lunghe cotture grazie al contenuto di tessuto connettivo. Onestà vorrebbe che in nessun caso siano usate cartilagini e grasso di visceri ma l’onestà, si sa, è merce rara. Proprio per questo non acquisto mai carni macinate già preparate. Preferisco farmi tagliare il mio misto di carni a seconda dell’uso che devo farne, me lo faccio pesare e chiedo che venga passato al macinacarne (che non “trita” come fa un coltello) davanti a me, avendo cura di scartare i primi grammi che escono dal disco forato e che l’hanno pulito. Diffidate dei macellai che hanno il macinacarne non a vista e guardate con attenzione dove depositano le rifilature che tolgono alla carne che vendono: c’è sempre il rischio che lo mettano da parte per impiegarlo in un macinato indefinito e tendenzialmente indegno.

Sergio G. Grasso