Il lucroso commercio delle spezie si sviluppò contemporaneamente a quello dei metalli preziosi, dei gioielli, della porpora, dell’ebano, dei pellami e della seta. Sulle antiche carovaniere, precedenti di millenni quella Via della seta resa nota da Marco Polo, i mercanti dell’età del bronzo trasportavano dall’India verso l’Egitto anice, fieno greco, cardamomo e cassia, mentre cumino, aneto, finocchio e zafferano giungevano nella terra dei faraoni direttamente dalla Mesopotamia. La cucina egizia, sia nobiliare che popolare, faceva largo uso di droghe per scopi alimentari, medicinali e rituali; i ritrovamenti archeologici ne documentano il traffico fin dall’epoca della III° dina-stia (2600 a.C.), quando i lavoratori addetti alla costruzione della piramide di Cheope – che non erano schiavi ma operai regolarmente salariati e ben nutriti – venivano riforniti di cumino, senape, rafano, aglio e cipolle impiegati sia come insaporitori sia per prevenire infermità ed epidemie. L’approfondita conoscenza delle virtù di molte droghe da parte degli egizi la fornisce il papiro Ebers (redatto intorno al XVI secolo a.C., durante il regno di Amenhotep I) che nelle sue 108 pagine enumera un’ampia varietà di spezie e piante aromatiche come l’aglio, l’anice, l’assenzio, la cannella, il coriandolo, il papavero, la senape e il timo. Ad Atene e Sparta si aspergevano le carni con finocchio e anice, ritenuti capaci di tonificare il corpo e di accrescere il coraggio in battaglia; più tardi i romani attribuirono alle stesse due piante l’attitudine a migliorare la vista degli arcieri. Stimolati dai viaggi e dalle conquiste di Alessandro Magno e sotto l’influenza dell’ellenismo, sui mercati della Roma repubblicana iniziarono a comparire numerosi “aròmata” stimolanti, come lo zenzero, il pepe lungo o rotondo, i chiodi di garofano, le noci moscate, il cardamomo, la cannella, il coriandolo e il cumino. Contrariamente a quanto si crede, il ricettario tardo-imperiale attribuito ad Apicio (II secolo d.C.) non enumera una grande varietà di spezie; è ossessiva in quasi tutte le ricette la presenza del pepe, si fa un reiterato uso del misterioso “laser” (la resina di una Ferula ben nota a greci ed egizi ma estinta da millenni, il cui aroma potrebbe essere simile all’asafoetida, l’essudato di un finocchio gigante comune nella cucina indiana), si citano lo zenzero, lo zafferano, il cardamomo e poco altro. Ma di lì a poco dei fasti dell’Impero e della esasperata gastronomia di Apicio si sarebbe perso il ricordo ad opera delle invasioni barbariche. Fu solo verso l’Anno Mille che i profumi della cannella, della noce moscata, del cumino e dello zafferano tornarono a riaffacciarsi sulle tavole mediterranee. Li riportarono gli arabi dal Maghreb quando invasero la Spagna e la Sicilia ridando colore, profumo e sapore a una cucina ormai spenta e priva di interesse. A dar manforte alla rinnovata fortuna delle spezie contribuirono anche i crociati che per due secoli attraversarono in massa il Bosforo per raggiungere Gerusalemme e “liberare” il Santo Sepolcro. Grazie a loro nacque un rinnovato interesse per il gusto esotico e si aprì la strada alle carovane di mercanti di sete e spezie, il cui paradigma è rimasto proprio il veneziano Marco Polo. Intanto la presa di Costantinopoli durante la quarta crociata nel 1200, assicurò alla Serenissima il controllo commerciale dei porti del Mar Nero e la possibilità di dettar legge in quelli mediorientali. Decine di navi salpavano ogni giorno da Venezia con imponenti carichi di legname, ferro, sale di Comacchio, vetri delle fornaci di Murano e schiavi slavi destinati ai porti di Levante (Salonicco, Rodi, Sidone, Beirut) in cambio di sete, cotone, olio, profumi, oggetti d’arte e soprattutto pepe, cannella, chiodi di garofano, noce moscata e zafferano raccolti dalle carovane arabe nei porti del Golfo Persico. Un servizio regolare di galere fu creato tra Venezia ed Alessandria d’Egitto per il trasporto delle merci che giungevano con altre carovane dai porti del Mar Rosso, mentre allo scalo di Trebisonda faceva capo un’altra “via delle spezie e della seta”, quella terrestre che percorreva le carovaniere dell’India, del Turkestan, della Persia e dell’Asia Minore, sempre con destinazione Venezia.
Il più importante e lucroso mercato delle spezie del mondo tra il XIII e il XVI secolo era quello di Rialto (l’antica Civitas Rivoalti, nucleo originario della città di Venezia), dove i “Messeri del pepe”, cioè i sensali delle droghe, pubblicavano i bollettini giornalieri con le quotazioni delle spezie. Vi si svolgevano aste pubbliche per l’aggiudicazione delle diverse partite ma molte trattative avvenivano sottobanco sussurrando il prezzo all’orecchio dei clienti più importanti. La tradizione delle “aste all’orecchio” è ancora viva in molti mercati ittici dell’Alto Adriatico anche se a bisbigliare oggi non è più il venditore ma il compratore. È stato calcolato che tra il XIV ed il XV secolo i mercanti veneziani importarono spezie per cinque milioni di sterline-oro inglesi ricavandone profitti cinquanta/ottanta volte superiori. La definitiva caduta di Costantinopoli nel 1453 per mano di Maometto II con la chiusura agli europei delle carovaniere ottomane provocò limitati danni alla Serenissima che seppe mantenere soddisfacenti rapporti col Sultano, mentre molti paesi europei iniziarono a cercare altre vie per raggiungere l’Oriente. I portoghesi tentarono una rotta verso le Indie scendendo lungo le coste dell’Africa dove trovavano gli schiavi e l’oro da riportare in patria, finché Bartolomeo Diaz, nel 1487, raggiunse il Capo di Buona Speranza e aprì la nuova via verso le Isole delle Spezie. Anche Cristoforo Colombo per conto della corona di Spagna nel 1492 partì alla ricerca di pepe, cannella e noce moscata, ma dovette accontentarsi solo del peperoncino. Nel 1498 Vasco Da Gama, finanziato dal re del Portogallo, arrivò a Calicut, il più importante centro commerciale dell’India meridionale, dove stipulò accordi commerciali con i rajah indiani di Cochin e di Cananor. L’ambasciatore di Venezia a Lisbona, Messer Querini, riferisce che il pepe acquistato in India dai portoghesi veniva rivenduto a Lisbona a un prezzo sette volte maggiore, la cannella otto volte, i chiodi di garofano nove volte, lo zenzero diciotto volte, la canfora quaranta volte e la noce moscata addirittura ottanta volte il prezzo pagato all’acquisto. Dal canto loro gli spagnoli grazie a Magellano riuscirono a circumnavigare l’America meridionale e navigando nell’oceano Pacifico raggiunsero le Molucche, madrepatria di noce moscata, macis, chiodi di garofano e del più pregiato e costoso pepe. Furono però gli Olandesi a ottenere il monopolio del commercio delle spezie indonesiane che durò per oltre 200 anni. La diffusione dell’uso delle spezie in tutta l’Europa e, in special modo nell’Europa centrale, in Inghilterra ed in Germania, fece diventare Anversa il maggior mercato europeo delle droghe. Ebbe allora inizio il declino di Venezia, geograficamente situata in un luogo troppo eccentrico rispetto ai nuovi mercati di consumo.