I fichi freschi sono ritenuti a torto frutti polposi molto calorici: infatti per 100 g forniscono 47 kcal (v. Tabella 1), quasi come le mele (45 kcal) ed i kiwi (44 kcal); apporti calorici pari o superiori a 60 sono invece presenti in banane, cachi, uva, melagrane e nella maggior parte dei frutti esotici.

Tabella 1: Composizione chimica e valore energetico per 100 g di parte edibile.

(Fonte: E. Carnevale e L. Marletta, Tabelle di Composizione degli Alimenti)

Il prodotto fresco contiene l’11% di zuccheri solubili (principalmente fruttosio, ma anche glucosio e saccarosio), che conferiscono il gradevole gusto dolce ed energia di pronto utilizzo. Modestissimo risulta il contenuto in proteine e grassi. È presente una discreta quantità di potassio (v. Tabella 2), che, abbinata ai bassi livelli di sodio, può concorrere al controllo della pressione arteriosa negli ipertesi sodio-sensibili. L’apporto vitaminico è molto modesto. Tra gli antiossidanti compaiono numerosi flavonoidi: buone quantità di quercetina, associata alla prevenzione di neoplasie polmonari ed intestinali; luteolina ritenuta assai efficace quale sostanza antinfiammatoria ed antitumorale; antocianine, rappresentate principalmente da antirrinina (chiamata anche cianidin 3-rutinoside o keracianina), dotata di azione capillaro-protettrice atta a migliorare le capacità di adattamento della retina. Nei fichi freschi è discreta la presenza di fibra (2 g/100 g), con prevalenza della componente insolubile (cellulosa, emicellulose, lignina) che esercita effetti gastroenterici accelerando il transito intestinale. Nella prima metà del secolo scorso una nota casa farmaceutica italiana commercializzò con successo uno sciroppo di fichi dotato di proprietà lassative, che venne chiamato Siconina. Siconio (o sicono) è infatti il termine con cui in botanica si indicano l’infiorescenza e l’infruttescenza del fico. Nelle zone temperate la pianta più diffusa è Ficus carica (famiglia Moraceae), che comprende due forme biologiche, il fico ed il caprifico. In entrambe sarebbero possibili la fecondazione e la produzione dei frutti, ma nel caprifico la parte femminile viene resa sterile da una microscopica vespa (Blastophagapsenes) che vive negli ovari trasformandoli in galle. Il caprifico svolge la funzione maschile, producendo polline che le vespe, sciamando dal frutto, portano con sé. Per tali ragioni si semplifica indicando il fico (fico vero, fico a frutti commestibili) come pianta femminile ed il caprifico (fico capro, fico selvatico) come pianta maschile. È interessante osservare come il sistema Blastophaga/Ficus sia strettamente specie-specifico, poiché questa vespa è il solo insetto adatto a fecondare il fico e permettergli la produzione di semi ed il fico è l’unico albero che ospita e nutre la vespa; ogni specie di fico ha il proprio insetto fecondatore; inoltre la vespa carica di polline, richiamata da specifiche molecole, si dirige esclusivamente verso i fichi in fioritura. Il frutto – in realtà un’infruttescenza – si compone di una parte esterna commestibile (il ricettacolo cavo piriforme) e di numerosi piccoli acheni posti nella parte interna, che sono i veri frutti. Il fico può dare varie fruttificazioni, provenienti da gemme dell’autunno precedente, a maturazione precoce (fioroni), da gemme primaverili a maturazione estiva (fichi/forniti/pedagnuoli), da gemme estive a maturazione autunnale (cimaruoli). I frutti che il caprifico produce per partenogenesi sono invece non commestibili. I fichi freschi trovano ampio utilizzo culinario: abbinati a salumi e/o formaggi come antipasto; ingredienti di primi o secondi piatti; componenti di numerose preparazioni dolciarie. Possono poi essere trasformati in confetture, essiccati, conservati in acquavite, usati per aromatizzare distillati. I frutti sono impiegati anche in ambito cosmetologico, come detergenti ed emollienti per volto e mani, esfolianti per il corpo, antiossidanti per il viso. I fichi secchi presentano un elevato apporto calorico (per l’incremento della quota zuccherina a seguito della disidratazione) ed un discreto contenuto in vitamina B1. Alcune preparazioni – come il pan nociato e il salamino (o lonzetta) di fico delle Marche, le crocette mandorlate calabresi, i palloni cosentini, i fichi secchi di Carmignano – ora ricercate prelibatezze, sono state in passato fonti di sostentamento alimentare e di commercio per le popolazioni del Mediterraneo. Già nel XII secolo l’agronomo Ibn al-Awwam citava un pane preparato con farina di fichi secchi ottenuta da fichi maturi schiacciati lavati e bolliti in acqua dolce ed infine essiccati e macinati. L’Unione Europea ha concesso la Denominazione di Origine Protetta al “Fico bianco del Cilento” e ai “Fichi di Cosenza”, entrambi ottenuti da uno specifico ecotipo della cultivar Dottato (od Ottato). Il lattice che si produce al distacco di frutti immaturi, foglie e rami, benché irritante per la cute, contiene vari enzimi (principalmente le proteasi ficine) che ne consentono l’uso come caglio vegetale – già noto a Greci e Romani – per produrre ancor oggi i caprini diffusi nel Montefeltro e nell’alto maceratese, e le ricotte ed i formaggi di capra Girgentana in provincia di Agrigento.