“…. la conservazione pneumatica sarebbe la più razionale, se fosse alla portata di tutti. Consiste essenzialmente nel fare il vuoto per mezzo della macchina pneumatica in recipienti di cristallo e di terraglia…”. Così cita il Manuale Hoepli “Conservazione delle sostanze alimentari” (terza edizione di Franceschi e Venturoli), edito nel 1895. Dopo molti anni si può ritenere che il confezionamento sottovuoto sia davvero alla portata di tutti: tale tecnica conservativa, che si attua eliminando l’aria all’interno di un contenitore mediante aspirazione, è molto utilizzato nella produzione industriale ed artigianale e si sta diffondendo anche nella conservazione casalinga. La sottrazione di aria (che rende la concentrazione di ossigeno bassissima o assente) ed il successivo mantenimento a basse temperature consentono di prolungare la conservabilità di un alimento impedendo lo sviluppo dei microrganismi aerobi (lieviti muffe e batteri) ed inibendo le reazioni ossidative, soprattutto quelle a carico delle sostanze grasse, responsabili di irrancidimento e perossidazione, cosicché, anche grazie alla scarsa dispersione di sapori ed aromi ed alla modestissima disidratazione, vengono preservate le caratteristiche organolettiche delle matrici alimentari. Tra gli indubbi vantaggi della conservazione sottovuoto vi è l’estensione della “vita di scaffale” (shelf-life), ovvero del periodo entro il quale il prodotto conserva sia le specifiche di composizione sia le caratteristiche organolettiche e nutrizionali. Rispetto al solo mantenimento in ambiente refrigerato l’estensione della vita di scaffale viene stimata da 2 a 4 volte maggiore: minore per il sottovuoto casalingo, realizzato con macchine ad aspirazione esterna; molto maggiore nella tecnologia professionale, largamente impiegata per carni fresche, prodotti di salumeria, affettati, pesci, formaggi, ortaggi e frutta, pane, preparazioni dolciarie e di gastronomia, vino. I materiali d’imballaggio ad alta barriera consentono di ridurre la pressione atmosferica residua da 1 bar a 0.3/0.4 bar (metodo cryovac); si può anche effettuare una totale aspirazione “a pelle” (darfresh, schurskin) previa immersione in acqua a 90°C, oppure impiegare laminati bistratificati (survac). Quest’ultima modalità è utilizzata principalmente per la presentazione alla vendita delle carni: l’asportazione dello strato esterno, di elevata impermeabilità ai gas, consente al prodotto di riacquistare il normale colore rosso dei pigmenti ossidati.  Per minimizzare la presenza di ossigeno si può ricorrere ad assorbitori di ossigeno (oxygen scavengers) di natura chimica o biologica, che vengono posti all’interno del laminato plastico: si attua in tal modo un’interazione dinamica del contenitore con il contenuto, realizzando il cosiddetto packaging “attivo”. È inoltre possibile rilevare eventuali difetti di integrità delle confezioni controllando il superamento di una determinata soglia di ossigeno oppure la presenza/assenza di ossigeno e anidride carbonica (packaging “intelligente”). Le matrici alimentari conservate sottovuoto debbono caratterizzarsi per una ineccepibile qualità microbiologica iniziale, poiché la permeabilità residua dei contenitori può consentire la crescita di alcuni batteri che non producono variazioni olfattive e di gusto; inoltre l’assenza di ossigeno può sopprimere lo sviluppo di germi antagonisti del temibile anaerobio Clostridium botulinum e porlo in condizioni di vantaggio, con la conseguente produzione di tossine; la sua totale inibizione viene garantita mediante il rispetto delle condizioni di refrigerazione. Per ostacolare la crescita di microrganismi aerobi/anaerobi facoltativi ed anaerobi sporigeni, la tecnologia del sottovuoto può avvalersi di antagonisti naturali, quali batteriocine (prodotte da batteri lattici in grado di antagonizzare la crescita di Listeria monocytogenes e Clostridium spp), chitosani (derivati della chitina prodotti da Basidiomycetes spp, che inibiscono Staphilococcus aureus ed Escherichia coli) ed acidi organici (lattico e acetico, che mostrano inibenza verso Listeria monocytogenes). Da tecnica conservativa, il sottovuoto è divenuto anche tecnica di cottura: nel caso delle carni, ad esempio, si effettuano cottura (cook-in) e vendita nell’involucro originale (ship-in) oppure si procede all’apertura dell’involucro per eliminare i liquidi e poi si effettua il riconfezionamento (strip-off). E come è accaduto per la tecnologia conservativa, tale cottura (nota come “sous-vide”) si sta diffondendo sia in ambito ristorativo sia casalingo. Essa viene realizzata a basse temperature costanti (ca. 55/60°C) per tempi lunghi; gli alimenti imbustati, immersi in acqua, cuociono in modo uniforme e non disperdono succhi ed aromi. Nel contempo si registrano importanti vantaggi nutrizionali, quali perdite minime a carico dei minerali e di varie vitamine (B12, C, folati) e minor necessità di aggiungere grassi da condimento e sale. Inoltre, le basse temperature non comportano la formazione di composti tossici, quali acroleina, benzopirene, acrilamide, ecc., assai pericolosi per la nostra salute.