Sarebbe opportuno ricordare ai nostri lettori che la tecnologia della “vacuum machine” per i più sofisticati, del “sottovuoto” per i molti chef di vecchia e nuova generazione, ha un bel po’ di anni e bisogna risalire intorno agli anni ’70, del vecchio millennio, per datarne la nascita. Il bisogno di avere a disposizione in cucina questa tecnologia, tecnica, è nato da un cuoco lungimirante e sensibile che aveva la necessità di mantenere più a lungo possibile la freschezza di un “alimento pregiato” e “facilmente deperibile” allungandone di conseguenza la “shelf life”. Da solo il cuoco non poteva farcela, allora grazie alla sapienza del nutrizionista, al supporto del tecnologo, allo studio dell’universitario, il bisogno è diventato realtà. Da cinquant’anni circa il sottovuoto è entrato in quasi tutte le cucine del mondo, solleticando la fantasia, la creatività, di tutti i cuochi per dar vita a ricette strepitose. Ma se la tecnologia ha funzionato, se la tecnica è stata apprezzata, allora è naturale vederla anche nelle cucine di tutti i giorni, quelle domestiche. Non voglio entrare nel merito dell’impiego della tecnologia, ma desidero porre l’accento sulle “buone pratiche” del suo utilizzo. L’operatore, il cuoco, la casalinga che utilizzano con dimestichezza la conservazione in vuoto, devono farlo con cura, devono essere attenti alla pulizia, alla cura maniacale dell’igiene e del rispetto delle pratiche dell’HACCP, devono evitare l’impiego incauto di attrezzature non adeguate perché si rischia di vanificare totalmente l’utilizzo del sottovuoto per la conservazione. Per economicità, ad esempio, alcuni usano lo stesso sacchetto più volte aperto e richiuso, accorciando la sigillatura e questo provoca un notevole aumento del rischio di contaminazione alimentare. Le macchine a disposizione del mercato sono di due tipologie, quella detta “a campana”, che permette anche la sigillatura dei liquidi, e quella detta “a barre” adatta esclusivamente ad alimenti solidi. Per questo quella “a campana” è certamente la più efficiente ed efficace. Non dobbiamo dimenticare che l’accessorio utile, anzi indispensabile è il “sacchetto per il sottovuoto”. In commercio si trovano buste contenitive di materiale plastico (ovvero polietilene) o di alluminio, sacchetti speciali Fata Bags, sempre e comunque certificati “adatti per alimenti”. La loro struttura può variare in base alla tipologia di sigillatore della tecnologia vacuum, per questo li possiamo trovare lisci e monoporzione, goffrati e in rotoli, per cuocere o addirittura anti-raggi UV, per alte cotture in frittura, etc. Ma noi, attenti cuochi e scrupolosi appassionati, dobbiamo saperli maneggiare con cura, con mani sempre pulite perché se desideriamo conservare del buon pesce, dobbiamo adottare “buone pratiche”. La conseguenza della nostra incuria sarà aver vanificato il costo della tecnologia vacuum, accorciato la shelf life dell’alimento e, cosa peggiore, aver messo in pericolo la salute del consumatore. È giusto ricordare che il sottovuoto, per la conservazione, non annienta, non elimina la carica batterica dell’alimento trattato, non l’inibisce del tutto, alcuni microrganismi restano in letargo. Allora, il cuoco dotto ha pensato di associare anche la “cottura in sottovuoto”, garantendo così una sorta di pastorizzazione dell’alimento, a volte anche una quasi sterilizzazione del prodotto, proprio per offrire al cliente il meglio della propria cucina.