Da sempre, in Veneto gli asparagi si mangiano fra i due Santi: San Giuseppe (19 marzo) e Sant’Antonio (13 giugno) e da sempre sono un frutto (un turione in termini esatti) apprezzatissimo. Originariamente il suo uso era quello di pianta dalle funzioni medicamentose e terapeutiche, tanto che questa sua natura è stata rispettata perfino dallo scienziato svedese Carlo Linneo che codificò in modo razionale tutto il mondo vegetale, il quale lo definì officinale. Tralasciamo la storia e parliamo di quanto ha scritto il Pellegrino Artusi nel suo “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” spartiacque fra la vecchia cucina regionale e quella dell’Italia moderna per sottolineare come, in primis, consideri gli asparagi lessi e conditi con olio, aceto o agro di limone, i migliori. E veniamo ai giorni nostri: la Grande Cuisine francese dell’Escoffier fissa le ricette della grande ristorazione, ignorando quelle della cucina di casa e così fa il Carnacina con il suo “La Grande Cucina “ dove ha raccolto le ricette di una gastronomia “fin de siècle” a quella, più attuale e perciò meno complessa. Ne nasce un uso dell’asparago più abbinato ad altri alimenti (pesce, ad esempio), con risultati di grande prestigio. Bassano, oltre al ponte palladiano, ha un vero “re” negli asparagi che sono, con la loro polpa gustosa, succulenti e seducenti per il loro retrogusto lievemente amaro. È il Brenta che dà stupenda bontà all’asparago, con la sua terra fina e ben drenata, sabbiosa, soffice e poco calcarea. Raccolto prima che esca da terra e diventi verde per la fotosintesi clorofilliana (ad Albenga aspettano un pochettino quando spunta e prende il colore viola) ha tenerezza e delicatezza insieme. Da qui nasce quel dolceamaro che poi ritroviamo in risotti, in sughi per paste e nel piatto principe della gastronomia veneta: ovi e sparasi. E’ talmente importante e la produzione è talmente codificata che è già stata ottenuta la Denominazione d’Origine Protetta, la DOP, una garanzia di qualità. Già i produttori tengono molto alla qualità: mantengono la produzione alla metà circa, per ettaro, di quanto la legge sulla DOC non preveda, proprio per salvaguardarla. La produzione, su valori oltre i 1000 quintali, è certamente inferiore alla richiesta e si hanno (pochi, a dire il vero) casi di “bassanizzazione” di asparagi “foresti”! Cosa bere con gli asparagi? E’ un bel problema perché l’asparago non “ama” in proprio il vino. Sia per la cottura in acqua che per la lieve sensazione amarognola non esalta il vino con cui lo si associa. Meno male che passa da essere uno stuzzichino da “ finger food” a componente di primi o secondi piatti ed allora si unisce ad altri sapori più portanti. Credo che l’asparago modifichi la richiesta a seconda che nel piatto sia l’interprete principale o un comprimario, per quanto importante. Di per sé l’asparago non reclama vino: il fatto che la cottura tradizionale, legata alla bollitura, unisce all’acqua di vegetazione la propria, non facilita la richiesta, in bocca, di un liquido di accompagnamento. Né lo reclamano le componenti acidule ed amarognole implicite nell’asparago. Ma per il metodo tradizionale, uova ed asparagi, si ritiene che un buon Vespaiolo, dall’elevata acidità, faciliti l’accompagnamento, in quanto la presenza dell’uovo schiacciato con la forchetta con grande aggiunta di olio d’oliva, faciliti l’abbinamento. In questo campo prove e controprove hanno dimostrato che l’abbinamento con un bianco di buon corpo, di spiccata acidità, di buon profumo ed aroma di media intensità esaltano questo nobile turione meglio di un rosso anche giovane. Per quanto attiene la funzione di comprimario dell’asparago in piatti di carne, ad esempio, è chiaro che si sceglierà il vino sulla componente principale: un filetto con accompagnamento di asparagi ovviamente reclamerà un rosso di prestigio. Comunque, sempre seguendo il proverbio ‘La cucina mangia la cantina’, ciascuno abbini ai propri piatti i vini della propria terra. E tutto funziona per il meglio! Beppo Maffioli, un grande gastronomo, cantore della cucina veneta:“ Inoltratasi la primavera, ai primi tepori nelle sparasere di tutto il Veneto i germogli degli asparagi sbucano dalla sabbia, ancora quasi candidi, per rimirare il cielo; sorpresi prontamente nella loro nascente curiosità di luce, che li fa colorare d’un lievissimo verdino con sfumature roseo-violacee, vengono spiccati dalla loro profonda radice per accompagnare il riso in minestre soavi… o intinti in una estemporanea elementare salsina, composta nel piatto stesso su cui vengono consumati….”. Mi domando allora: ma la gastronomia non è anche arte, poesia della tavola? Riflettiamoci mentre stiamo mangiando questo delicato fiore del Paradiso terrestre…