A pochi chilometri da “La Romana”, Repubblica Dominicana, a poche centinaia di metri dal Rio Chavon, nella sierra, tra poche casupole, il “Rancho Santa Cruz” ci aspetta per il pranzo. Arrivarci è poco agevole, strada contorta, stretta e polverosa, crivellata di buche. Il paesaggio che attraversiamo ci offre scampoli di natura rigogliosa inframmezzata da baracche fatiscenti, animali al pascolo, uccelli colorati. La gente guarda sorniona il nostro suv, i bambini salutano, sorridono. La meta è là lungo la strada, la fame, l’ora tarda e gli scossoni ci rendono il traguardo favoloso. Il rancho è poco più di una capanna, pieno di gente seduta a tavoli massicci, rustiche panche e tovaglie di cartone, i commensali mangiano, ridono, sono allegri, felici, entusiasti, quasi tutti italiani. All’ombra si sta bene, fuori il sole picchia inesorabile sulle lamiere dei fuoristrada griffati, in parcheggio casuale. Il nostro tavolo si riempie di sapori e di colori, i pesci alla brace, le gustosissime aragoste, i fritti dorati, le verdure rigogliose e appetitose, il riso, le spezie: tutto insieme in una meravigliosa tavolozza affascinante. Sorridiamo anche noi, è tutto buono, saporito, pittoresco, coinvolgente e la miseria tutto intorno ci sembra folklore. L’Indio ha una faccia antica e la giacca immacolata, è stato chef in un’altra vita, gli occhi sono due fessure, sorride, mi spiega il suo lavoro, la natura e gli ingredienti, mi parla della sierra e del mare, degli uomini che vanno e vengono, delle donne e dei bambini, dei pirati e di sua madre. L’Indio parla e guarda l’aragosta che, sulla brace, sta morendo lentamente.

Ferruccio Ruzzante