Davanti a me tre straducce tutte uguali: e adesso quale prendo? Era piovuto tutto il giorno e i selciati umidi riflettevano la luce gialla dei pochi fanali. Nessuno che mi potesse dare un’indicazione; ero uscito per fare due passi in quel borgo nebbioso, convinto di saper tornare ma alla fine mi ero perso. Ed era quasi l’una di notte. In giro, nessuno. Poi, non capendo da dove, sentii qualcuno fischiettare. Mi spostai un po’ qua, un po’ là, per individuare da dove provenisse quel motivo che mi ricordava qualcosa. La melodia era fischiata con calma, con sapienza e si stava allontanando. Imboccai a caso una delle vie e il suono divenne più flebile. Tagliai con un po’ di ansia per una laterale e lo vidi. Era un omaccione con tabarro e cappello a larghe falde che passeggiava lento e lieve. Mi feci coraggio e lo affiancai. Smise di fischiare. – Scusi, può continuare. Questa musica la conosco ma non mi ricordo che cos’è. Fece una grassa risata e riprese la melodia, con me che gli camminavo accanto come un cagnolino. Si fermò e mi chiese:
– Bella, vero? Davvero non sa cos’è? Eravamo giunti sulla terrazza panoramica del paese; s’indovinava il mare oltre la nebbia.
– Vediamo se ci arriva da solo. Le dico qualcosa del suo autore: era, per dirla come oggi un pianista da piano bar, che si guadagnava da vivere suonicchiando nei caffè chantant, quando la prima guerra mondiale era imminente. Quella che ha sentito è la musica da tappezzeria, come la chiamava lui. Serviva per coprire i vuoti di conversazione nei ristoranti. Ci è arrivato?
Alla mia riposta negativa, accennò un altro tema. Poi aggiunse:
– Era maniaco degli ombrelli: ne aveva una stanza piena, molti mai usati. E poi, sa cosa faceva? Siccome, per contratto, doveva suonare per ore nei bar, nei caffè, si riempiva le tasche di gherigli di noci che si sgranocchiava tra una composizione e un’altra, composizioni che, per nostra fortuna, ha trascritto. Un capolavoro tra le noci; quello che sente sono le sue Gnossiennes.
Ci ero arrivato: Erik Satie. Ci girammo verso la nebbia che ci nascondeva il mare. Lui fischiava, io l’accompagnavo con un suono muto. Ritrovare la via del ritorno non era più un problema.