Cosa hanno in comune Alexandre Dumas, Samuel Morse, Francesco De Boucard tanto per menzionarne solo alcuni? Tutti nel descrivere la città partenopea hanno citato la “pizza napoletana” facendo riferimento ad un denominatore comune: la sua costante funzione sociale nel tempo, il rappresentare una vera e propria arte dal punto di vista sia gastronomico che sociale, permettendo alla popolazione di stare insieme e sfamare con ingredienti basici anche i ceti più umili. Da prodotto locale la pizza napoletana ai giorni nostri ne ha fatta di strada! Una diffusione internazionale tanto che attualmente sono gli americani a risultarne i maggiori consumatori e nel 2010 ha ottenuto l’ufficiale riconoscimento quale Specialità tradizionale garantita (STG) con un apposito disciplinare che regola la sua specifica produzione. La normativa menzionata descrive un prodotto da forno tondeggiante, proveniente da aziende dedicate alla sua produzione definite Pizzerie, di pasta morbida, elastica, sottile, facilmente piegabile, con un cornicione dai bordi alti, composto da farina di grano tenero, lievito di birra, acqua naturale potabile, pomodori pelati e/o pomodorini freschi, sale marino o sale da cucina ed olio di oliva extravergine, eventuale aglio, origano, Mozzarella di Bufala DOP, basilico fresco e Mozzarella STG. Il disciplinare elenca una serie di fasi in successione riferite alla preparazione dell’impasto, alla lievitazione, alla formatura della pizza, alla farcitura ed infine alla cottura, che devono essere pedissequamente osservate con una metodica rigorosa e dettagliata al fine di poter qualificare la pizza napoletana una specialità tradizionale garantita/STG. A valorizzare ulteriormente tale eccellenza e tradizione gastronomica con un diretto benefico impatto economico e sociale, si aggiunga che nel 2017 “l’Arte tradizionale del pizzaiolo napoletano” ha conseguito il riconoscimento dall’UNESCO quale patrimonio culturale immateriale dell’umanità, trasmesso di generazione in generazione e continuamente ricreato, in grado di fornire alla comunità un senso di identità e continuità, promuovendo il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana. Il know how culinario legato alla produzione della pizza, comprensivo di gesti, canzoni, espressioni visuali, gergo locale, capacità di maneggiare l’impasto della pizza, esibirsi e condividere è stato ufficialmente considerato un indiscutibile patrimonio culturale da tutelare. Nelle motivazioni ufficiali che hanno permesso l’inclusione nella lista Unesco i pizzaiuoli ed i loro ospiti si considerano come coinvolti in un rito sociale durante il processo di produzione dinanzi al bancone ed al forno, quasi come in un palcoscenico, caratterizzato dall’atmosfera conviviale, tipica della vita quotidiana della comunità, fonte di un sapere culinario tradizionale e generazionale.