Ormai è un dato di fatto universalmente riconosciuto: fare il pizzaiolo è un’arte e, come tale, riconosciuto patrimonio dell’Umanità.  Il via libera è arrivato nella notte del 6 dicembre scorso dal Consiglio dell’Unesco riunito a Jeju, nella Corea del Sud. Per l’Unesco, si legge nella decisione finale, “il know-how culinario legato alla produzione della pizza, che comprende gesti, canzoni, espressioni visuali, gergo locale, capacità di maneggiare l’impasto della pizza, esibirsi e condividere è un indiscutibile patrimonio culturale”. Il processo per il riconoscimento della pizza è iniziato nel marzo 2010, arrivando nel 2015 alla presentazione della candidatura ufficiale da parte della Commissione Nazionale Italiana Unesco e poi ripresentata il 4 marzo 2016, quando il Consiglio Direttivo della Commissione Nazionale Italiana per l’Unesco, riunitosi a Roma, ha deliberato all’unanimità di ricandidare per l’anno 2017 nella Lista dei Patrimoni immateriali dell’Umanità dell’Unesco “L’Arte tradizionale dei pizzaioli napoletani”. Subito dopo la proclamazione, in sala è scoppiato un lungo e fragoroso applauso che ha festeggiato il successo italiano e molti dei delegati presenti sono venuti ad abbracciare i rappresentanti italiani che nella lunga notte del negoziato finale hanno stretto in mano un cornetto napoletano porta fortuna, rosso come tradizione impone. Dodici miliardi di euro, almeno 100 mila lavoratori fissi nel settore, ai quali se ne aggiungono altri 50mila nei fine settimana. Sono i dati dell’Accademia Pizzaioli e divulgati dalla Coldiretti. Ogni giorno solo in Italia si sfornano circa 5 milioni di pizze nelle circa 63mila pizzerie e locali per l’asporto, taglio e trasporto a domicilio, dove si lavorano in termini di ingredienti durante tutto l’anno 200 milioni di chili di farina, 225 milioni di chili di mozzarella, 30 milioni di chili di olio di oliva e 260 milioni di chili di salsa di pomodoro.