– Senti Albe’, non fare il difficile. Fammi il piacere; facci registrare ‘sta canzone che dopo ce ne andiamo a casa, va bene? – Mi rifiuto di cantare una cosa che non ha alcun senso.
Il direttore della sala di audizione sospirò e si buttò a sedere sulla vecchia poltrona sgangherata che aveva ospitato le magnifiche rotondità di Kim Novak. Parlò ancora con voce stremata, chiedendo pietà per i calzini che gli stavano segando i polpacci: – È solo una canzonetta stupida, lo so. È una robetta da bambini che fa schifo anche a me, ma al pubblico piace. È un successo. Panzeri e Coniglio ci hanno fatto i soldi con i diritti e anche la loro casa discografica.- Sì, è vero, ma è successo nel trentanove. Stava per scoppiare la guerra e, pur di non pensare a quello che stava succedendo, sarebbe andato a ruba anche il rifacimento di San Martino Campanaro, dormi tu? Te la ricordi quella? Do re mi do, do re mi do. Sempre uguale. Che è una canzone, quella? Il microfonista stava appisolandosi; la mancanza di cibo gli provocava sonnolenza. In sala di regia, l’addetto alle manopoline che regolano la registrazione se ne era andato a prendere un caffè: sarebbe ritornato solo quando il cantante avrebbe smesso di fare le bizze. Il direttore lasciò la poltrona di tela e legno e si avvicinò all’artista, estraendo dalle sue esauste forze le ultime scintille di pazienza. – Dimmi, Alberto, cosa c’è che non ti va in questa canzone? – Cosa c’è che non va? E me lo chiedi pure? – Sì, te lo chiedo perché ho bisogno di saperlo e sono troppo stanco per pensare. L’attore cantante lo fissò con i suoi occhi bovini e gli sibilò, fissandolo fermamente: – Come può un gatto mangiare l’insalata? Poi si alzò di scatto, come preso dal morso di una tarantola e gridò: – Non ho mai visto un gatto mangiare l’insalata, mai, mai, mai! I gatti mangiano i topi, se li prendono. Il direttore si sfregò il cranio che vantava la bellezza di sette capelli, residuo di una carriera da capellone ante litteram, e gridò anche lui, attraverso le dita che gli facevano diventare la faccia come la caricatura di Hannibal: – Ma non capisci che è una metafora? È una metafora, è il canto della gente che aveva poco da mangiare e che, poco dopo, non avrebbe avuto neanche più quello. È l’ironia del popolino che guarda divertito un gatto che è morto proprio quando era arrivato ad avere tutto. Capisci? Guarda che le cose più serie si dicono ridendo. Maramao è una presa per il culo di Mussolini che pensava di essere arrivato a possedere un impero e, di lì a pochi anni, sarebbe finito appeso a testa in giù in Piazza Loreto. Panzeri e Coniglio sono stati dei profeti, dei visionari, degli illuminati che hanno lanciato un messaggio al popolo italiano con una canzonetta banale: attenti che il vostro gatto ci lascerà le trippe. Ma non potevano dirlo chiaramente altrimenti non avrebbero più lavorato per l’EIAR e anche loro volevano mangiare e mantenere la famiglia. L’attore si girò lentamente e chiese: – Perché tu vorresti dirmi che… – È così Alberto! Lo sai che gli italiani avevano l’opinione, che peraltro sembra vera, che il Duce si fottesse tutte le donne che gli giravano attorno? Le micine innamorate ti dicono niente? Hai presente quanto importante era per gli italiani avere un capo che pensava a tutto, che li proteggeva e che, naturalmente, chiavasse come un riccio? Il mito del maschio italico: senza capelli ma con una verga da fare impazzire le donne, da incutere rispetto, o invidia agli uomini, mettila come vuoi. – Allora Maramao perché sei morto era una canzone satirica? – Satirica e intelligente, perché era inattaccabile. Chi poteva dire che deridesse il grande capo? – Non ci avevo mai fatto caso. – Bene: adesso facci caso. Cantala, cantala con lo spirito che ti ho detto: stai prendendo per il culo il potere e sai che il potere è talmente tracotante da non accorgersi di essere messo alla berlina. Se se ne accorge, diventa terribile perché è il segno che comincia a pensare. Il direttore della sala registrazione mandò un fischio per richiamare l’addetto alla consolle. Era il 1982 e Alberto Sordi stava per incidere una delle sue più fortunate canzoni.

Dello stesso autore “Le tue valigie sono dalla vicina” – Robin Edizioni – anche on line

Flavio Bisson