Tecnicamente il “sottovuoto” o “sous-vide” è una tecnica di trasformazione di materie prime o semilavorati, sottoposti a condizioni di temperatura controllata all’interno di contenitori in assenza d’aria. Questa metodologia – che permette anche di preparare in anticipo molti piatti con notevoli economie di gestione – richiede l’utilizzo di buste in materiale plastico sigillabile, una pompa a vuoto e un contenitore in cui il liquido convettore, generalmente acqua, viene mantenuto a temperatura costante e prefissata (solitamente tra i 57°C e gli 85°C) per il tempo prescritto. Cuocere sottovuoto e a bassa temperatura significa, nel caso delle carni, portare le proteine a denaturazione in funzione di quattro variabili: la massa dell’alimento, la sua composizione chimica, la quantità di energia termica assimilata e la durata del riscaldamento stesso. In questo sottile gioco di chimica e fisica, la relazione tra tempo e temperatura gioca dunque un ruolo fondamentale: quanto più bassa è la temperatura del liquido di convenzione, tanto più lungo sarà il tempo di cottura richiesto. Questa attesa, anche di molte ore, sarà però ripagata non solo da una corretta qualità igienico sanitaria ma anche da una palatabilità omogenea e gradevole, da una minima perdita di vitamine, dal mantenimento di gran parte di succhi ed elementi nutrizionali e, soprattutto, da una piacevolezza organolettica impensabile con le metodiche di cottura tradizionali. Vale la pena di ricordare che ciò che definiamo “sapore” è una combinazione di stimoli olfattivi e gustativi prodotti dalle molecole aromatiche contenute dagli alimenti. La busta o qualsiasi altro contenitore ermetico (come nel caso della vasocottura) ha la funzione di imprigionare il corredo aromatico impedendo la dissoluzione di queste molecole nel liquido o nell’aria; la sottrazione dell’aria contenuta nella busta contribuisce ad evitare l’ossidazione delle stesse molecole. Proteggere il cibo dal calore diretto durante la cottura fu preoccupazione costante anche dei nostri progenitori che adottarono per questo scopo diversi involucri con funzione di schermo: foglie, pelli o viscere animali, grasso e sale. L’evoluzione moderna di questa tecnica fu opera degli scienziati della NASA che negli anni ’60 del secolo scorso realizzarono per gli astronauti i primi SBM (sealed-bag meals, ovvero razioni alimentari sigillate) cotte direttamente in sacchetti di nylon. Come per tutte le invenzioni anche questa metodica di “Cucina Molecolare”, ha avuto dei precursori illustri, a cominciare dal matematico italiano Evangelista Torricelli (l’inventore del barometro) che nel 1643 dimostrò l’esistenza del “vuoto” in natura, ponendo quindi fine alle millenarie discussioni filosofiche sull’horror vacui. Il lavoro di Torricelli fu presto ripreso dal fisico e filosofo francese Blaise Pascal che conduceva studi sulla pressione atmosferica (la cui unità di misura è appunto il Pascal) e definitivamente comprovati dal celebre esperimento di Magdeburgo effettuato dal 1650 da Otto von Guericke alla presenza dell’imperatore Ferdinando III. In quell’occasione 30 cavalli trainanti in direzioni opposte non riuscirono a dividere due emisferi di ottone perfettamente combacianti all’interno dei quali era stato fatto il vuoto con una pompa aspirante. Dimostrata l’esistenza del vuoto e teorizzato il sistema per realizzarlo, la quadratura “culinaria” del cerchio richiedeva un altro tassello: capire che un cibo è “cotto” quando raggiunge la temperatura di denaturazione delle proteine, animali o vegetali che siano. Ci arrivò oltre un secolo dopo il fisico e ingegnere inglese Benjamin Thompson, Conte di Rumford, appassionato di termodinamica e curioso indagatore di processi culinari. Scrisse numerosi saggi tecnico scientifici in materia di alimentazione, fra cui uno “Sul cibo e in particolare sul nutrire i poveri” e un altro “Sulla costruzione del focolare da cucina e degli utensili da cucina, insieme con commenti e osservazioni riguardanti vari processi di cucina e proposte per migliorare quella utile arte”. Fu anche ingegnere e inventore (suo il progetto del primo caminetto a pareti angolate e tiraggio forzato, di un forno per l’essiccazione delle patate, di una caffettiera ermetica a filtro, di un doppio bollitore per il bagnomaria ecc.) ma innanzitutto fu il primo a intuire possibilità e vantaggi di cuocere le carni in un ambiente a temperatura inferiore ai 100°C in modo che perdessero meno peso e grasso, risultando di qualità organolettica superiore a quella ottenibile con le cotture tradizionali. Egli scriveva nel 1799: “È certo che non solo carne e vegetali di tutti i tipi possono essere cotti in acqua tenuta bollente senza bollire, ma anche che possano essere cotti con un grado di calore sotto il punto di ebollizione…”. Il metodo Rumford faceva ricorso all’aria di un forno, anziché all’acqua, per riscaldare gli alimenti ma è indubbio che a lui debba essere assegnato il palmares per l’invenzione della cottura a bassa temperatura. Il sottovuoto fece la sua prima apparizione pratica nel 1865, alla fine della Guerra di secessione americana, quando fu utilizzato per compattare le balle di cotone in Virginia e Maryland. La vera rivoluzione avvenne però solo nel 1935, quando l’americana Cryovac, brevettò un metodo di messa sottovuoto utilizzando buste realizzate in un nuovissimo materiale inventato qualche anno prima dalla DuPont: il nylon. Nel 1971 un articolo apparso su Le Monde che menzionava la preparazione del cibo per gli astronauti della Missione Apollo ispirò lo chef Georges Pralus che lavorava nel ristorante di Pierre e Michel Troisgros a Roanne, in Francia. Il suo primo esperimento pare fosse realizzato con 600 g di foie gras rinchiuso in un sacchetto sottovuoto assieme a spezie, zucchero, cognac pepe e sale. Dopo un’ora di riscaldamento in acqua a 58°C il fegato conservava tutto il suo colore originale, non si era ristretto né aveva perso il suo grasso e presentava una migliore consistenza, profumi più intensi e un gusto più fine e delicato. Questo risultato spinse Pralus, tra il 1974 e il 1979, a mettere a punto oltre 600 ricette e a presentare ufficialmente i risultati di questa nuova, rivoluzionaria metodica nel corso di un solenne banchetto servito nel 1981 a quattordici chef stellati francesi che si convinsero della validità e della scientificità del sistema e che lo indussero ad aprire una scuola di perfezionamento. Nel 1991 l’economista, tecnologo alimentare e chef Bruno Goussault aprì a Parigi il suo Centre de Recherche et d’Etudes pour l’Alimentation dedicando gran parte della sua attività a studiare, definire e divulgare i parametri di cottura sottovuoto di molti alimenti.  Il definitivo successo del “sous vide” fu evidente nel 2006, quando Alain Ducasse incluse questa specializzazione nel suo centro di alta formazione culinaria ad Argenteuil.