“Maramao perchè sei morto, pane e vin non ti mancava, l’insalata era nell’orto e una casa avevi tu” cantava il Trio Lescano negli anni a cavallo tra il 1930 e 1940. “Spaghetti, pollo, insalatina e una tazzina di caffè….” fu il successo di Fred Bongusto nel 1967 ed i giovani di allora, io compreso, ballavano sulla mattonella. “A Beethoven e Sinatra preferisco l’insalata, a Vivaldi l’uva passa che mi dà più calorie” era l’ermetico testo di Franco Battiato nel 1981. Quei versi si riferivano però a insalate normali, comuni come la lattuga o l’insalatina (notare il diminutivo-vezzeggiativo) novella, colte fresche dall’orto di casa o comprate alla bancarella del mercato, da condire a proprio gusto. Ma sono tutte così oggi le insalate? Quelle sono rimaste, per fortuna, sono sempre buonissime, ma sono solo una parte di un grande universo. La Genesi risale, direi, a cavallo tra gli anni ‘60 e ‘70 con i tramezzini, rapido surrogato del pranzo di mezzogiorno a seguito di importanti cambiamenti nel mondo del lavoro, accresciuta presenza femminile (che dunque non rimaneva a casa a preparare il pranzo), orario continuato, pause brevi, aumento del traffico, difficoltà nel trasporto pubblico. Così poco dopo esplosero le insalate, anzi, insalatone. Un vero trionfo di ingredienti, in sostanza dei piatti freddi dove ci sta dentro tutto: verdure, carni, affettati, formaggi, frutta (anche esotica), pesce e via così. Poi i condimenti fanno il resto e un ruolo importante va attribuito alla riscoperta dell’aceto balsamico. Io vado ai miei pensieri di giramondo e fisso, solo per me si badi bene, tre pilastri. La Greca, con pomodo-
ro, olive nere, cetrioli e formaggio Feta. La Niçoise (da Nizza) con, almeno, pomodori, patate, acciughe, tonno, olive, sedano e poi quello che si vuole. Infine il mio grande amore, ancora francese, la Perigourdine (da Perigòrd, regione del sud-ovest della Francia): insalata, magret de canard (filetto d’anatra), gésier (ventriglio-stomaco), foie gras (sempre d’anatra), gherigli di noce e crostini, olio e aceto. Sublime! Il posto migliore per gustarla era per me il ristorante del Teatro al Rond-Point sugli Champs Elysées, all’epoca in cui vissi la mia esperienza parigina. Forse dipendeva un poco anche dall’aria che respiravo tutt’intorno. Parigi è sempre Parigi, ma vale anche per qualsiasi altra bella città del mondo.

Renato Ganeo