A partire dagli anni settanta i più grandi produttori di ogni regione hanno imposto una versione chimicamente e tecnologicamente alterata dei vini storici del loro territorio. Queste industrie del vino commercializzano l’idea di un passato bucolico, ma sono totalmente dipendenti dall’industria chimica e dalla tecnologia che prosperano grazie al fatto che ormai da decenni gran parte dei consumatori ha dimenticato che sapore ha il vero vino. Di conseguenza è perfettamente logico che la rivoluzione dei vini naturali, con la tutela del “terroir” e della salute (sia della terra sia di chi beve) rappresenti una minaccia intollerabile. La mancata certificazione doc non è l’unica arma nelle mani dell’industria del vino per intimidire i liberi pensatori. L’inquietante divisione del ministero dell’agricoltura dedita alla “Repressione delle frodi” è stata strumentalizzata per colpire i produttori e i commercianti di vini naturali. Forse il più perseguitato dalla Repressione frodi – e non a caso – è l’irriverente e brillante pioniere del movimento dei vini naturali, Stefano Bellotti di Cascina degli Ulivi, a Novi Ligure, nel sud del Piemonte. Tra i primi vignaioli a scegliere l’agricoltura biodinamica all’inizio degli anni ottanta, Bellotti è il punto di riferimento italiano della pratica agricola progressista dei nuovi viticoltori naturali. Rispettando le tecniche olistiche dell’agricoltura biodinamica, l’azienda di Bellotti pratica da anni la policoltura. La policoltura è essenziale per l’equilibrio ambientale della comunità agraria intorno a Novi Ligure, e inoltre permette di produrre vini più complessi ed espressivi. Tuttavia, dopo aver individuato in una foto satellitare alcuni peschi tra le vigne di Bellotti, gli agenti di Torino della Repressione frodi hanno fatto irruzione a sorpresa nell’azienda, hanno fatto una multa di decine di migliaia di euro e hanno declassato il lotto provocando una perdita di 200.000 euro in sussidi per l’agricoltura. Per Bellotti non c’è dubbio che questi persecuzioni non sono arrivate per caso. Ma perché gli agenti del ministero se la prendono con i piccoli artigiani (nonché cittadini modello) come Bellotti, Antonuzzi, Dottori e Tiezzi mentre le aziende miliardarie vengono ignorate? Consapevole del fatto che i naturalisti stanno alimentando una pressione avvolgente (a Parigi, per esempio, ci sono più di cinquanta locali che servono esclusivamente vini naturali a una clientela giovane e sempre in crescita) la lobby dell’industria del vino ha deciso di passare all’azione a livello europeo. Intanto però molti vignaioli naturali chiedono che le etichette dei vini comprendano tutti gli ingredienti usati nella produzione, come è già obbligatorio per tutti gli alimenti. Se così fosse emergerebbe immediatamente il contrasto tra la trasparenza delle loro procedure e quelle del 99,9 per cento dei produttori europei, la cui lista degli ingredienti occuperebbe probabilmente mezza bottiglia. Oggi la legge permette l’utilizzo di oltre 300 additivi chimici per i vini (detti) “normali”. L’industria del vino, comunque, non si è fatta prendere alla sprovvista. La lobby del settore, la Ceev (Comité Européen des Entreprises Vins) ha distribuito in lungo e in largo a Bruxelles un libretto di 36 pagine per spiegare perché i produttori di vino non dovrebbero in nessun modo essere obbligati a elencare i composti usati. Involontariamente ridicolo, il libretto porta a sostegno della sua tesi la storia artigianale e pastorale del vino.
Chi invece è ansioso di provare un’esperienza diversa e sorpendente può visitare i vignaioli naturali, per scoprire cosa sono capaci di fare, nonostante tutte le difficoltà e l’ostracismo dei colleghi industriali e del governo nazionale ed europeo. A Cupramontana nelle Marche, Dottori (-come già Antonuzzi a Gradoli ) ha affiancato al suo trebbiano ed ai suoi due robusti verdicchi, un tonificante vino sfuso che gli abitanti del luogo e noi tutti, possiamo portarci a casa per 2 euro al litro. Sotto certi aspetti è un visionario, ma come capita con tutte le forme di avanguardia, un po’ di curiosità e pazienza mi hanno permesso di espandere il mio senso del gusto e invaghirmi di questi vini bizzarri, con entusiasmo infantile e un senso magari maturo che i piaceri più profondi sono spesso quelli più nascosti. Il verdicchio sfuso di Dottori viene venduto in dame da 5 litri, non è filtrato, porta con se l’autenticità di un territorio che rivendica la sua tipicità, grande complessità e purezza. Verace e franco, è un grande vino da cibo, e si abbina perfettamente al re dei tuberi: il tartufo. Il tartufo essendo uno di quegli ingredienti capace di dominare le ricette, ha bisogno di vivere liberamente, senza raggiungerlo con vini troppo imponenti. Meglio quindi un vino che si dedichi alla struttura del piatto, lasciando intatta tutta la ricchezza.
(Da un pezzo di Jonathan Nossiter)