I Romani conoscevano e mangiavano le poco profumate terfezie, o “tartufi della sabbia” provenienti dall’Africa. La loro origine rappresentava un enigma, Plinio le inseriva fra le piante prodigiose, e Apicio le proponeva nella sua famosa raccolta di ricette. In Europa, per quasi tutto il Medioevo i tartufi non vennero considerati, ma dalla seconda metà del Quattrocento vi fu un’inversione di tendenza e i tuberi, specialmente quelli neri raccolti lungo gli Appennini, divennero in Italia un cibo ricercato e molto apprezzato dai potenti.  Numerosi fonti indicano che si utilizzavano le scrofe per cercarli ed erano cotti sotto la cenere o saltati in padella per essere poi mangiati senza una precisa collocazione durante il pasto. All’epoca si iniziò ad attribuire ai tartufi virtù afrodisiaca, il medico Michele Savonarola li consigliava come alimento ideale per i vecchi che avevano una bella moglie.  Platina, erudito dell’epoca, non solo assegnò al tartufo un alto potere nutritivo, ma lo definì: “un eccitante della lussuria… servito spesso nei pruriginosi banchetti di uomini ricchi e raffinatissimi che desiderano essere meglio preparati ai piaceri di Venere”. L’efficacia dei tartufi era così proverbiale da meritare una testimonianza letteraria di Pietro Aretino, riferita ad un vecchio che non riusciva a godere dei piaceri amorosi: “né per tartuffi, ne per carcioffi, né per lattovari puoté mai drizzare il palo, e se pur l’alzava un poco, tosto ricadeva giuso…”. Tutti i medici italiani del tempo concordavano sul potere afrodisiaco dei tartufi e alcuni ciarlatani preparavano e vendevano con lauti guadagni elisir d’amore a base della sua essenza.  I trattati italiani di gastronomia del Seicento parlano del potere rinvigorente del tubero come un fatto scontato e la sua virtù non viene dimenticata neppure nelle memorie di Casanova. In Italia, nella seconda metà dell’Ottocento, Paolo Mantegazza nel libro “Igiene dell’amore”, elencando gli alimenti afrodisiaci, metteva in cima i tartufi. Poiché lo scienziato era il primo italiano a trattare e divulgare argomenti scabrosi, la sua notorietà contribuì a consolidare la fama del tubero. Negli ultimi decenni del Novecento è stata avanzata un’ipotesi scientifica sulla virtù di stimolante sessuale del tartufo. Secondo questa, il suo odore dovuto soprattutto all’androstenone, sostanza presente anche nel feromone del porco maschio, attirerebbe irresistibilmente le scrofe. Per analogia fra mondo animale e umano, si è ipotizzato che i tartufi avrebbero un effetto eccitante anche sul genere umano.