Il merluzzo artico norvegese, gadus morhua, apprezzato per la sua carne bianca e delicata è la materia prima per produrre stoccafisso e baccalà. Due diversi trattamenti: d’inverno con la temperatura più rigida si presta meglio all’essiccazione all’aria fredda; se invece viene pescato d’estate, con temperature più alte, la conservazione migliore è quella del barile sotto sale. Quindi se viene subito pulito, messo in barile e ricoperto di sale diventa baccalà, secondo alcuni dalla parola fiamminga “kabeljaw” che significa “bastone di pesce”. Il sale serve per essiccarlo e farlo mantenere più a lungo. Se invece, dopo essere pescato, viene lasciato ad essiccare all’aria, diventa stoccafisso. Al limite dell’Oceano Artico, proprio nel nord della Norvegia, è situata l’isola di S0r0ya (l’isola del sud) la quarta per estensione con soli mille abitanti, tutti pescatori o in qualche modo coinvolti nella lavorazione del pesce. L’isola ha sempre goduto di una buona fama per la pesca del merluzzo trasformato in stoccafisso dagli artigiani locali. Con una flotta di 50 pescherecci che non superano i 15 metri di lunghezza e non si allontanano piu’ di 50 chilometri dalla costa consegnano il pescato, rigorosamente con l’amo, una tecnica che permette di non danneggiare il pesce ed avere un prodotto finito piu’ pregiato rispetto a quello pescato con le reti, al massimo dopo due ore dalla cattura. Questo permette di non congelare il pesce, ma solamente di sventrarlo, decapitarlo e lavarlo in acqua di mare direttamente sulle stesse imbarcazioni. Quando raggiunge le aziende di trasformazione, ogni merluzzo viene accoppiato ad un altro della stessa dimensione. I due pesci sono legati insieme all’altezza della pinna caudale con un filo di spago, appesi alle rastrelliere di legno e lasciati essicare all’aperto dai due ai tre mesi a seconda delle condizioni atmosferiche e delle dimensioni del merluzzo, senza sviluppare il benché minimo cenno di putrefazione o muffa. Al termine della lavorazione è suddiviso in 20 diverse classi di qualità, di cui la più pregiata è chiamata “ragno”, denominazione che prende origine da “Ragnar” il più famoso esportatore norvegese. Il merluzzo norvegese è oggi un prodotto essenziale nella cucina di Spagna, Portogallo, Olanda, Belgio e Italia che acquista quasi il 50% della produzione di stoccafisso (circa 3mila tonnellate sulle 6mila prodotte), le principali aree di utilizzo sono Veneto, Liguria, Campania, Calabria e Sicilia. Come per il maiale niente di questo pesce viene gettato: la lingua e le guance sono considerate una vera e propria prelibatezza sia in Norvegia che in altri paesi; la testa è essiccata e venduta in mercati specifici come farina animale o destinata ai più poveri mercati africani; le uova usate per la produzione del caviale oppure, lessate nella loro sacca, si mangiano affettate; dal fegato si ricava l’olio medicinale e dal resto degli intestini vengono estratti particolari enzimi utilizzati nell’industria farmaceutica. Sull’isola S0r0ya operano due aziende che si dedicano alla trasformazione del merluzzo e, durante il periodo di chiusura dell’azienda principale, alcuni abitanti hanno dato vita ad un gruppo di lavoro che produce piccole quantità di stoccafisso, filetti e caviale di merluzzo seguendo le ricette recuperate dalla tradizione degli anziani pescatori. Dal 2005 è stato costituito un Presidio Slow Food con l’obiettivo di promuovere al di fuori dei confini della regione in cui viene pescato questo prodotto storico, il migliore del mondo perché in poche aree come questa, sospinta dalla calda Gulf Stream, arriva lo “Skrei”, merluzzo originario del Mare di Barents. Ogni anno nel mese di luglio nel villaggio di S0rvàer viene organizzato un festival della pesca per celebrare l’inizio dell’estate.

Piera Genta