“Ci preferiscono affamati, assetati e disperati.
Così, non ci fanno desiderare la vita.
Così per noi è lo stesso, che siamo morti o che siamo vivi”.
(Emilio Lussu)

Maggio del 1914 per l’Italia è la Grande Guerra. Il menu? La razione – che all’inizio della guerra, almeno per gli italiani, consisteva di 750 g di pane, 375 di carne, 200 di pasta oltre a cioccolato, caffè, formaggio – nel corso della guerra variò sensibilmente. Ovviamente peggiorando.“Per la guerra in montagna (Alberto Redaelli, Cucina, Vino e Alpini, Walmar Ed.) erano assegnati, fin che è stato possibile, supplementi di lardo, pancetta, latte condensato, mentre al servizio di trincea erano previsti alcolici, (immancabile la grappa) segnale inequivocabile di un imminente assalto”. “Nel dicembre 1916 la razione diminuì per i problemi alimentari di cui soffriva l’Italia, passando a poco più di 3000 calorie, cioè 600 g di pane e 250 di carne, spesso sostituita da pesce poiché la carne bovina era in larga parte di importazione. Gli alleati francesi e inglesi (scrive Angelo Nataloni in un suo saggio) se la passavano meglio; i primi avevano una razione di 3400 calorie e gli inglesi di 4400, gli avversari austriaci pativano invece la fame”. Per i militari italiani, visto il miscuglio di origini, dialetti, culture diverse, finì con l’unire tutti, costretti e spesso molto volentieri a condividere lo stesso patrimonio alimentare. “ Fu così che la Brigata Calabria assaporò le Tagliatelle alla bolognese, che i Veci del Val Brenta gustarono le Zeppole leccesi, che la Sassari si sfamò con il Baccalà alla vicentina, che la Tevere conobbe il Fricandò friulano (il frico, specie di polenta di patate e formaggio), ecc. ecc.” Oltre agli infiniti sacrifici delle popolazioni rimaste al di là del Piave spesso deportate e derubate di tutto, neanche gli invasori stavano tanto meglio, malgrado le rapine, i sequestri, le spogliazioni, i saccheggi. “Per gli austro-ungarici (scrive Sergio Tazzer nel suo documentatissimo ”Grande Guerra Grande fame”, Kellermann ed.) “il rancio quotidiano, la Volle Portion, prevedeva 700 grammi di pane o 400 grammi di gallette, 400 grammi di carne di manzo, 140 grammi di legumi e di verdura, 40 grammi di un surrogato del caffè, birra o vino, tabacsco sale e aceto, ma tutto questo già nel ’15 non c’era più. In realtà la loro gavetta, la famosa gamella in ferro smaltato, si era ridotta, quando c’erano, a 450 grammi di pane vecchio e spesso ammuffito, due aringhe da dividere fra tre uomini, 4-5 cucchiai di zuppa allungata, una galletta e una fetta di polenta fredda.” Le ristrettezze della guerra provocarono una fioritura di      libri-ricettari, una sorta di ingenui trucchi per rendere più accettabile il rancio quotidiano attraverso una cottura rapida (per risparmiare combustibile) e realizzata con ingredienti super-economici e tuttavia gradevoli oltre che nutrienti. Qualche esempio: la zuppa del soldato (farina, acqua, patate e un po’ d’olio d’oliva): I fagioli al fiasco: “Cotti e scolati si introducono in un fiasco con dentro burro e lardo battuto. Si completa la cottura in forno con tutto il fiasco”. Le Castagne secche al latte: “A fuoco lento in modo che tutto si amalgami. Si può rafforzare con fiore di farina.”